30/09/10

Palestina: Pietre per la pace

“Con la nostra attività riportiamo in vita i centri palestinesi storici distrutti o degradati e, nello stesso tempo, i giovani sono di nuovo motivati a vivere nei centri e nei villaggi, in precedenza abbandonati poiché privi di opportunità”. Suad Amiry


Come un fiore sbocciato nel deserto, dal 1991 il Riwaq Centre for Architectural Conservation opera in Palestina. “Con la nostra attività riportiamo in vita i centri storici distrutti o degradati e nello stesso tempo i giovani sono di nuovo motivati a vivere nei centri e nei villaggi, in precedenza abbandonati poiché privi di opportunità”.
Chi parla è Suad Amiry, architetta e scrittrice. L’abbiamo incontrata a Roma in occasione della presentazione dell’ultimo progetto della Ong palestinese Riwaq, da lei diretta. Ha scritto tra l’altro i libri “Sharon e mia suocera” e “Murad Murad”, ma questa è la sua prima volta in veste di architetto. Il significato intrinseco dell’azione intrapresa dal centro è la costruzione (oltre che di edifici) di una cultura di pace e di risoluzione pacifica dei conflitti attraverso un processo d’integrazione delle popolazioni dei vari villaggi.
Lavoro per giovani palestinesi
L’iniziativa del Riwaq è portata avanti da tempo, ma c’è bisogno di nuovi finanziatori, di nuove partnership. E Luisa Morgantini propone un gemellaggio italiano con cinque villaggi palestinesi, nella speranza che l’Italia faccia la sua parte. Per creare posti di lavoro, innovazione, formazione professionale, edifici abitabili, scuole, centri ricreativi, per garantire un futuro ai giovani locali, che lavoreranno per la realizzazione delle opere, e non professionisti inviati da paesi esteri. Suad Amiry pone l’accento sull’essenziale connessione tra economia e sviluppo, e lo fa ribadendo l’importanza dell’impiego da parte del centro di forza lavoro locale. “Si combatte in maniera efficace l’enorme piaga della disoccupazione palestinese”. “Mi rivolgo all’Italia – dice Suad – perché è un paese ricco di storia, che intende il significato di conservazione come mezzo per non cancellare l’eredità storica e culturale”. La differenza tra Palestina e Italia sta nel fatto che la prima rende il patrimonio culturale un vero strumento per l’avanzamento della società. L’attività del Riwaq è purtroppo ostacolata e rallentata dalla mancanza di leggi a tutela del patrimonio culturale. Accanto alla questione legale s’impone la questione sulla proprietà, e non in materia di diritti, ma sulla reperibilità dei proprietari. Costoro sono, per la quasi totalità, emigrati in America o in Kuwait. Bisogna tener presente che a causa dell’occupazione israeliana, inoltre, le autorità palestinesi controllano solamente il 12% del territorio della West Bank. I palestinesi sono costretti a costruire abitazioni solamente in quest’area circoscritta e molto spesso vengono abbattuti edifici storici per costruire abitazioni. I siti storici che il Riwaq sta cercando di recuperare rientrano proprio in questo 12% .
Il problema “mobilità”
La mobilità è un altro tasto dolente, a causa dei numerosissimi posti di blocco di autorità palestinesi ed israeliane che rendono difficili gli spostamenti tra un villaggio e l‘altro, soprattutto dopo che nel 2000 Sharon decise che i palestinesi non potevano più lavorare in Israele. Questa decisione comportò la perdita del posto di lavoro per duecentomila palestinesi. Tra il 1997 e il 2007 Riwaq ha elaborato il Registro nazionale di edifici storici su territorio palestinese dal quale risultano identificati 50.000 edifici storici tra West Bank e Gaza. Dopo aver svolto quest’inchiesta, si è pensato al progetto “Job Creation trought Conservation”, che coinvolge la popolazione locale affinché partecipi attivamente ai lavori, e decida quale attività svolgere all’interno degli edifici recuperati attraverso assemblee ed incontri in cui scambiare e proporre iniziative ed idee.
Il recupero degli stabili
Per la realizzazione del piano è necessario che il Riwaq contatti il proprietario dell’immobile per proporre un’azione di recupero e conservazione dello stabile, nel caso egli accettasse, l’incarico del centro è di svolgere i lavori in circa tre mesi. Al termine della ristrutturazione lo stabile potrà essere utilizzato dalle Ong locali o altre associazioni che altrimenti non saprebbero dove operare. La soddisfazione è bilaterale: il proprietario vedrà il suo immobile rivalutato grazie all’operato del Riwaq e la Ong troverà una sede per operare a titolo gratuito per ben quindici anni. Al termine di questo periodo il proprietario e la Ong devono trovare un accordo e stipulare un contratto d’affitto. La prima fase operativa del piano è il recupero del locale da parte del Riwaq, che come detto, forma ed assume manodopera locale. Una volta terminati i lavori, la comunità utilizza la struttura in base alle proprie esigenze (associazioni culturali, sedi operative per ong locali, associazioni femminili o per l’infanzia, sedi di progetti d’arte o musicali) e grazie al Riwaq può interagire e collaborare con gli altri villaggi per cooperare tra loro. Nel 2006 il Riwaq ha vinto il premio Dubai International Award for best practices rilasciato dall’Onu per il programma “Job Creation trought Conservation”. Il bilancio è più che positivo. Sono 85 gli edifici rinnovati, 56 le comunità coinvolte in 81 villaggi e 25 città nel progetto, per un totale di 140.400 giornate lavorative retribuite ed un costo di $ 4.4022.000. Praticamente con $ 100 al giorno venivano retribuiti tre lavoratori.
I beni culturali
Da circa tre anni, il Riwaq sta lavorando ad un nuova iniziativa che ingloba 50 villaggi. In base all’inchiesta terminata nel 2007 e grazie ad approfondite analisi, Riwaq ha constatato che proteggendo il patrimonio storico di questi cinquanta villaggi, si conserva il 50% dei beni culturali palestinesi. Al di là del recupero strutturale, la vera sfida che si pone il Riwaq è la riabilitazione dei centri storici dei villaggi intesa come un ritorno alla vita. Il centro studia su come riportare i giovani in questi vecchi villaggi, abitati solo da anziani e poveri, e come migliorare le condizioni di vita dell’intera comunità. “Per questo - afferma Suad Amiry - possiamo dire che Riwaq opera a livello pubblico, per permettere alle comunità l’uso di un edificio di pubblico interesse”. Ne è esempio la città di Birzeit, nella quale si trova la Birzeit University. Il centro Riwaq è intervenuto garantendo infrastrutture necessarie: allacci di luce, acqua, elettricità, gas. Ha decorato il centro storico con alberi, viali e parco giochi per bambini; facendone uno dei centri storici più attrattivi della Palestina. “Anche nel settore privato - prosegue Suad Amiry - stiamo lavorando arduamente e pensiamo a progetti innovativi. Nella stessa città di Birzeit, Riwaq si è fatto carico della costruzione di una casa per studenti e una mensa universitaria”. Riwaq sta costruendo a Birzeit e negli altri villaggi edifici abitabili, completi di bagno e cucina. In alcuni di essi, dato che gli edifici sono piccoli, si pensa di creare monolocali per studenti o giovani coppie. “Si pensa che lavorare in Gerusalemme o Ramallah sia più semplice - dice Suad - ma in realtà ci risulta molto meno complicato lavorare nei villaggi, poiché spesso nei piccoli centri ci vengono concessi da anziani proprietari terreni inutilizzati”. Il progetto ha già dei partner finanziatori che hanno adottato tre dei cinquanta villaggi. Essi sono Svezia, Kuwait e la stessa Palestina. All’Italia è rivolto un appello particolare. L’iniziativa è stata presentata ufficialmente alla III biennale del Riwaq, lo scorso anno a Venezia. Tra l’altro, era la prima volta che la Palestina partecipava in Italia ad una biennale. Nell’ottobre del 2009, proprio con l’obiettivo di costruire una partnership tra Palestina e Italia, è stata formata, nell’ambito della biennale, una commissione straordinaria composta da cinquanta esperti internazionali, che sono andati a Birzeit per analizzare l’iniziativa promossa dal Riwaq dei 50 villaggi e trovare un modo per metterla in connessione con paesi esteri. Nonostante le difficoltà, Suad e la sua équipe, vanno avanti coraggiosamente, pensando nuovi progetti per scrivere un futuro migliore al paese.


Eleonora P. - Solidarietà Internazionale

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