23/10/14

Discriminazioni e violenze dei coloni provocano traumi nei bambini palestinesi

La brutalità è un evento comune nella vita dei palestinesi, soprattutto dei minorenni, e gli effetti prodotti dall’interazione del trauma psicologico con razzismo e discriminazione sono complessi

(Nella foto: Farahat, palestinese di 9 anni, aggredito da un gruppo di suoi coetanei israeliani, figli di coloni)


I minorenni palestinesi sono esposti anche alla violenza e alle quotidiane discriminazioni da parte di gran parte dei coloni israeliani che risiedono negli insediamenti.

L’Unrwa ha ribadito di recente che “l’espansione degli insediamenti continua senza sosta e l’atteggiamento impunito e violento dei residenti israeliani non sembra manifestare cambiamenti” (Emergency Appeal Report, 2013). Gli insediamenti rappresentano un importante ostacolo al processo di pace. Una missione d’inchiesta del Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite intrapresa nel 2012 ha concluso che l’esistenza di insediamenti illegali israeliani in Cisgiordania rappresenta una violazione costante dei diritti dei palestinesi, inclusi i diritti all’acqua, alla casa, all’istruzione, ad una vita dignitosa. Nonché il diritto all’autodeterminazione e alla non discriminazione.

Farahat, 9 anni, è solo un esempio degli innumerevoli casi riscontrati: “Mentre portavol’asino della mia famiglia in un cortile dietro casa mia – situata vicino ad una stazione di polizia israeliana – sette bambini si sono avvicinati e mi hanno bloccato”, racconta il bambino a Defence for Children International-Palestine. Uno dei bambini ha preso una pietra e l’ha puntata verso di me, minacciando di colpirmi. Stava cercando di intimidirmi. Da circa dieci metri di distanza ha tirato la pietra verso di me e mi ha colpito sul naso e in occhio. E’ stato così doloroso che sono scoppiato in lacrime e corso verso casa”. I sette bambini aggressori sono figli di coloni israeliani. Farahat è stato portato all’ospedale dai genitori appena rientrato a casa.

Secondo il rapporto ‘Extremist Israeli settlers of Yitzhar terrorize palestinian villages’ pubblicato lo scorso dicembre dalla sezione palestinese dell’Ong internazionale Defence for Children, circa mille coloni israeliani radicali di Yitzhar terrorizzano 20.000 palestinesi dei villaggi circostanti di Burin, Madama, Asira al-Qibliya, Urif, Einabus e Huwara. “Più volte hanno raggiunto casa nostra – racconta Um Majdi, di Asira al-Qibliya -. Alcuni di loro tirano sassi contro di noi, altri appiccano incendi, o scrivono slogan di odio che sui muri. Siamo in uno stato psicologico di stress continuo”.

Insediamenti come Yitzhar continuano ad espandersi in tutta la Cisgiordania, con il sostegno del governo israeliano. Ci sono circa 650.000 coloni che vivono in oltre 200 insediamenti in Cisgiordania e a Gerusalemme Est. Gli insediamenti hanno un profondo impatto sulla vita dei palestinesi. Oltre alla perdita di terre sottratte illegittimamente per gli insediamenti, la violenza dei coloni, traducibile in pestaggi, sparatorie, discriminazioni e distruzione delle proprietà, è un evento comune nella vita dei palestinesi, compresi, soprattutto, i bambini. I soldati israeliani spesso chiudono un occhio di fronte a simili accadimenti, e, peggio, in alcuni casi partecipano attivamente agli attacchi da parte dei coloni. “A volte sogno che ci portano insieme ai bambini dei vicini, ci sparano e ci gettano in una fossa”  racconta Roa’a Abu Majdi, 12 anni.

Le principali azioni violente degli abitanti delle colonie verso la popolazione palestinese sono: la distruzione delle grotte; il danneggiamento dei raccolti attraverso lo spargimento di sostanze tossiche; l’arresto delle attività agricole attraverso l’uso di armi da fuoco; il furto di greggi e dei raccolti; l’avvelenamento delle cisterne d’acqua e dei pascoli; i pestaggi di uomini, donne e bambini; le minacce di morte; lo sbarramento delle vie di comunicazione.

Il trauma della discriminazione e dell’umiliazione

Gli effetti prodotti dall’interazione del trauma psicologico con razzismo e discriminazione sono complessi. Tenendo presente che il popolo palestinese è sotto scacco di una pluriennale apartheid, razzismo e discriminazione possono essere un fattore di rischio per l’esposizione a stress traumatici; così come un elemento in grado di aggravare l’impatto di traumi psicologici e di amplificare il rischio dell’insorgere del disturbo da stress post-traumatico o di altri disturbi post-traumatici; una fonte diretta di trauma psicologico.

L’Università di Birzeit, in collaborazione con la Quenn’s University, ha pubblicato una ricerca che dimostra come l’umiliazione indotta dal conflitto costituisca un evento traumatico indipendente, con ripercussioni sulla salute di chi la subisce e a prescindere dall’esposizione ad altri eventi violenti e/o traumatici. “L’umiliazione intenzionale, oltre ad essere una profonda violazione della dignità e dei diritti umani, è una tattica di guerra rilevante. Una persona che è vittima di umiliazione cronica, ha tre volte di più la probabilità di avere disturbi mentali”. Sulla base dei risultati ottenuti, si è proposto l’inserimento dell’umiliazione tra gli indicatori dello stato di salute mentale, nelle ricerche che indagano le conseguenze della guerra e dei conflitti sulla salute delle popolazioni.

Innumerevoli studi psicologici e sociali sui minori in situazioni d’emergenza dimostrano che bambini e adolescenti affrontano un evento stressante con la propria soggettività, che dipende dall’età, dalle esperienze passate, dalla presenza di adeguate figure adulte di riferimento, del supporto sociale e dai fattori ambientali. Le reazioni individuali sono il risultato dell’interazione dinamica tra fattori appartenenti a diversi livelli: biologico, psicologico e sociale (famiglia, amicizie) che comprende la sfera politica, educativa ed economica. 

Eleonora Pochi 
Fonte: Nena News

GAZA. Israele colpevole di crimini di guerra

“E’ stato violato il diritto internazionale”, ha dichiarato oggi Navy Pillay, alto commassario Onu per i Diritti Umani, in riferimento al massacro della popolazione civile della Striscia, aggiungendo che “questi attacchi non sembrano affatto accidentali”.

Si tratta di violazioni delle norme stabilite dalla IV Convenzione di Ginevra per la protezione delle persone civili in tempo di guerra. La presente convenzione, così come gran parte della normativa internazionale a tutela dei Diritti Umani, fu stipulata nel 1949, subito dopo le atrocità commesse durante la seconda Guerra mondiale, per stabilire regole precise in riguardo ai conflitti armati, in particolare per la protezione dei civili.

L’articolo 15 della suddetta convenzione stabilisce che “Ognuna delle Parti in conflitto potrà, sia direttamente, sia per il tramite di uno Stato neutrale o di un ente umanitario, proporre alla Parte avversaria la costituzione nelle regioni dove si svolgono combattimenti, di zone neutralizzate destinate a porre al riparo dai pericoli dei combattimenti, senza distinzione alcuna, le persone seguenti:

a) i feriti e i malati, combattenti, o non combattenti;

b) le persone civili che non partecipano alle ostilità e che non compiono alcun lavoro di carattere militare durante il loro soggiorno in dette zone. Non appena le Parti in conflitto si saranno intese su l’ubicazione geografica, l’amministrazione, il vettovagliamento e il controllo della zona neutralizzata prevista, sarà stabilito per iscritto e firmato dai rappresentanti delle Parti in conflitto un accordo, che fisserà l’inizio e la durata della neutralizzazione della zona”.

Il bombardamento della scuola UNRWA a Beith Hanoun e poi l’attacco di un’altra scuola delle Nazioni Unite a Jabaliya rappresentano violazioni del presente articolo. Non ci sono zone neutralizzate in tutta la Striscia in cui i civili possano essere al sicuro. Tra le vittime molti bambini. “Nulla è più vergognoso che attaccare dei bambini mentre dormono” ha dichiarato in merito Ban Ki-moon, segretario generale Onu. Il 77% delle vittime dell’operazione militare israeliana in atto, sono civili.

L’articolo 16 riguarda la tutela dei feriti e dei malati: “I feriti e i malati, come pure gli infermi e le donne incinte fruiranno di una protezione e di un rispetto particolari. Per quanto le esigenze militari lo consentano, ognuna delle Parti in conflitto favorirà i provvedimenti presi per ricercare i morti o i feriti, per soccorrere i naufraghi e altre persone esposte ad un grave pericolo e proteggerle contro il saccheggio e i cattivi trattamenti”.

Dall’inizio dell’operazione Protective Edge, l’IDF ha bombardato quattro ospedali: l’European General Hospital, l’ospedale di Al Aqsa, quello di Beit Hanoun e quello di Gaza City, Al Shifa. Medici senza Frontiere, presente sul campo, ha espresso più volte la grave illegalità alla base di questi attacchi militari: “Un membro del nostro staff internazionale si trovava nell’edificio (Al Shifa, ndr) quando l’ambulatorio dell’ospedale è stato bombardato -  denuncia Tommaso Fabbri, capo missione di MSF in Palestina -. Al Shifa è il quarto ospedale colpito dall’8 luglio. Attaccare gli ospedali e le aree circostanti è del tutto inaccettabile e rappresenta una grave violazione del diritto internazionale umanitario.  In qualunque circostanza, e soprattutto in tempo di guerra, le strutture sanitarie e il personale medico devono essere protetti e rispettati. Ma oggi a Gaza gli ospedali non sono il rifugio sicuro che dovrebbero essere”.

In riguardo al  soccorso umanitario d’emergenza, c’è l’articolo 20: “ Il personale regolarmente ed unicamente adibito al funzionamento o all’amministrazione degli ospedali civili, compreso quello incaricato della ricerca, della raccolta, del trasporto e della cura dei feriti e malati civili, degli infermi e delle puerpere, sarà rispettato e protetto”.

Sono tristemente note la difficoltà che gli operatori umanitari  stanno incontrando in questi giorni. Oltra agli ospedali, sono state bombardate ambulanze e non sono state rispettate le tregue umanitarie, necessarie alla ricerca e al trasposto di feriti e cadaveri.  Il video del ragazzo palestinese ucciso mentre con altri operatori cercava feriti sotto le macerie, ha fatto il giro del web.

Inoltre, secondo il New Weapons Research Committee, gruppo di scienziati che studia gli effetti delle armi non convenzionali sulle persone nel medio e lungo periodo, “ Israele sta sperimentando nuove armi non convenzionali contro la popolazione civile di Gaza”.  Fosforo bianco, DIME (Dense Inert Metal Explosive) e ordigni termobarici.  Mads Gilbert, medico norvegese operativo nell’ospedale di Shifa, a Gaza City, ha fatto notare che “moltissime persone possiedono ferite sospette, che dimostrano l’uso di armi illegali”. 

Eleonora Pochi 
Fonte: Nena News