27/03/12

A tu per tu con i Gaza Parkour

Per la prima volta, escono da Gaza. Quattro ragazzi che hanno dimostrato attitudine e passione verso il parkour, uno sport acrobatico che li ha aiutati a trovare la forza di affrontare la dura vita della Striscia

Saltando, superano barriere fisiche e psicologiche imposte nella Striscia. Il tour italiano dei Gaza Parkour è stato promosso e finanziato dalla Provincia di Roma, nell’ambito del programma di “Sostegno a spazi verdi e attività sportive a Gaza”, previsto da un progetto di supporto alla popolazione gazawi. I ragazzi si sono esibiti a Roma, Bologna, Milano, Bergamo e Palermo. Abbiamo avuto il piacere di parlare con loro, in particolare con Ibrahim, coordinatore del gruppo, che già aveva varcato i confini gazawi, in quanto allenava una squadra di pallacanestro. Ci ha raccontato un po’ della loro storia e della loro situazione di vita a Gaza. Nel viaggio di ritorno a casa Mohammed, Abdallah, Jehad e Ibrahim sono stati arrestati a El Cairo dalle autorità egiziane, che hanno rinchiuso i ragazzi per oltre quindici ore in una piccola stanza, insieme a decine di palestinesi, anch’essi bloccati in Egitto. “Ci hanno arrestato come fossimo criminali benché non avessimo fatto nulla di male – racconta Ibrahim -, ma questo è il trattamento che spetta a tutti noi palestinesi”. Dopo una lunga nottata, i quattro ragazzi sono stati trasportati dalle autorità fino al confine. Ad ogni modo, ci auspichiamo di rivederli in Italia molto presto, tanto per la talentuosa esibizione che ci hanno regalato, tanto per il loro apporto umano. Nonostante siano giovanissimi, dà subito all’occhio la loro profonda maturità, purtroppo riconducibile all’essere stati costretti a diventare uomini troppo presto.

Benvenuti in Italia ragazzi, è davvero un piacere incontrarvi. Dato che è la prima volta che siete qui, come vi sembra questo paese?
Pensavamo che la gente in Italia stesse bene e invece ci siamo resi conto che anche qui ci sono grandi difficoltà, alcune quasi paragonabili alla realtà di Gaza. La gente sta male economicamente e socialmente, soprattutto non c’è occupazione e la povertà dilaga. Però, nonostante i problemi, gli italiani ci hanno insegnato molto e quando torneremo nel nostro paese, ci ricorderemo del popolo italiano come gente per bene, che purtroppo soffre una situazione per certi versi simile alla nostra. La cosa più sorprendente è che abbiamo conosciuto persone generose ed umili, che ci hanno calorosamente accolto. Gente con un cuore grande.
Siamo molto contenti di questo. Come nasce la passione per il parkour?
Abdallah è stato il primo di noi a scoprire questo sport. Io sono un atleta, giocavo a basket ed ora mi sono dedicato al 100% a quest’attività. Parlai con Mohammed, e decidemmo insieme di creare il gruppo.

Qual è il messaggio che volete trasmettere con la vostra arte?
Non lo facciamo soltanto per sport, ma soprattutto come possibilità per uscire dall’isolamento mondiale. Come cittadini di Gaza lo facciamo perché
vogliamo dire al mondo che, nonostante tutte le difficoltà, possiamo dare un esempio migliore o ‘il’ migliore, perché no!

Quali sono le restrizioni che pesano di più per un giovane palestinese?
Prima di spiegare le restrizioni, è bene che si capisca cosa realmente abbiamo a Gaza, perché prima di tutto bisogna capire cosa significa vivere nella Striscia. E’ una cosa che dovrebbe essere ben chiarita, in generale. Le persone qui in Italia, come in altri paesi, possono usufruire di mezzi basilari, che, per quanto legittimi, possono sembrare scontati. Ciò garantisce il normale svolgimento della vita quotidiana di un individuo. Talvolta, le persone danno valore alle cose che hanno soltanto quando le perdono. La gente ha la possibilità di esprimersi e l’opportunità di migliorare. Io a Gaza sono il miglior giocatore di basket e probabilmente potrei essere il migliore del mondo, come i parkour di Gaza potrebbero essere il top a livello mondiale, ma non ci è concessa la possibilità di esprimerci, di confrontarci. Non vorrei entrare troppo nei dettagli, ma i giovani palestinesi soffrono di un grave malessere politico-militare, sociale e soprattutto devono sopportare il peso psicologico di una situazione difficilmente immaginabile, nella quale viene noi negato il diritto di vivere una vita normale come ogni altro essere umano. Chi vive al di fuori della Striscia ha un sogno, un motivo di vivere. A noi di Gaza i sogni ci sono stati strappati. Come giovani di Gaza, siamo nati nel mezzo di un conflitto del quale non siamo partecipi, non vogliamo partecipare al conflitto. Sembra un film prodotto da qualcuno che ci costringe a vederlo. Potrei dire che noi che facciamo questo sport siamo fortunati perché siamo riusciti man mano a costruire il nostro sogno anche se c’è stato negato. Però se mi guardo intorno e vedo i ragazzi di Gaza, capisco che non hanno la possibilità di sognare, facoltà che vogliono riprendersi lottando.

Secondo voi, quale salto ci vorrebbe per superare realmente le barriere?
Il bello in quello che facciamo sta proprio nel saltare gli ostacoli, è una passione quotidiana. Ogni volta che saltiamo, è per dimostrare a noi stessi e agli altri che tutti gli ostacoli possono essere superati! Basta volerlo davvero.

E’ la prima volta che uscite da Gaza?
Per me (Ibrahim, ndr) no, sono uscito più di una volta perché allenavo una squadra di pallacanestro. Purtroppo per i ragazzi è la prima volta che escono dalla Striscia, ma è stata una bellissima emozione!

Provo ad immaginare…Avete mai sentito parlare di Vittorio Arrigoni?
Per i palestinesi, quando viene ucciso un familiare, è una profonda sofferenza. Il dolore per la perdita di Vittorio è stato peggiore. Perdere un familiare per una causa comune al popolo palestinese è ‘normale’. Perdere Vittorio, italiano, nella situazione che si è creata, è stata la sofferenza peggiore che il cuore dei palestinesi abbia mai avuto.

Le vostre parole sono davvero molto belle e sopratutto sincere. Grazie ragazzi, per l’affetto dimostrato nei confronti di Vittorio. Speriamo di rivedervi presto in Italia! Ora, un messaggio libero al nostro paese.
Per un Palestinese uscire da Gaza è un sogno perché è come essere scagionati da una ingiusta prigionia. Qui abbiamo trovato la libertà e per quanto riguarda il popolo italiano, abbiamo conosciuto persone che ci hanno dimostrato un affetto vero e sincero. Per noi rappresentano una fiamma per la libertà che trasmetteremo in Palestina. A presto gente!

Eleonora Pochi

23/03/12

Grecia, agnello pasquale di un’Europa in crisi

Un piano d'aiuti mai visto prima, ma la penisola ellenica non riesce ad uscire dalla crisi, tra declassamenti continui dalle agenzie di rating ed un popolo ridotto alla stremo
 
L’Eurozona ha detto sì ad un ulteriore iniezione di liquidità nelle casse elleniche. Altri 130 miliardi, previsti dal piano di aiuti più grande della storia, sono stati destinati al salvataggio della Grecia. Non certo per altruismo, bensì per scongiurare il contagio finanziario nel resto dell’area euro. La Troika ha inoltre giudicato “sufficenti” i progressi della Grecia: “Tutte le leggi richieste a Parlamento e a Governo sono state adottate, ne restano solo alcune che saranno completate a breve”. Le agenzie di rating sembrano di tutt’altro parere. Moody’s ha dichiarato in seguito al lancio dell’operazione finalizzata al coinvolgimento di privati nella ristrutturazione del debito ellenico: “Atene affronterà’ comunque problemi di solvibilità a medio termine perché dovrà tornare sul mercato una volta esauriti i fondi del secondo pacchetto di aiuti, e le riforme annunciate avranno rischi di attuazione molto significativi”. L’agenzia ha declassato i titoli della Grecia, in seguito all’approvazione delle misure della Troika, a livello “C”, cioè spazzatura, mentre l’agenzia Fitch l’aveva ridotto a “C” da “CCC”, prevedendo un “default nel breve termine”. 
Intanto, l’economia reale del paese è al collasso. L’austerity imposta da fuori, impone il progressivo smantellamento dello Stato sociale, con ulteriori tagli alla spesa pubblica, alle pensioni, ai salari. La disoccupazione sfiora il 20% ed il 48% dei giovani non riesce a trovare un impiego. I principali sindacati, in continuo sciopero, hanno dichiarato in una nota: “La distruzione del quadro istituzionale del lavoro, i nuovi tagli alle pensioni, la rovina dello stato sociale, l’abolizione di Enti pubblici e i nuovi licenziamenti nel settore pubblico”. Nella sua storia, Piazza Syntagma, era mai stata così costantemente presidiata da decine di miglia di cittadini, contrari alle misure di Austerity e alla sempre più marcata dipendenza dalla volontà internazionale di Fmi, Bce e Ue, a cui i governi sembrano obbedire impassibili. Ci si chiede se, non sarebbe stato meglio il default e l’uscita dall’Euro, invece d’un remissivo asservimento alla volontà della politica-finanziaria internazionale.

Eleonora Pochi
Fonte: Fuori Le Mura

19/03/12

L’Apartheid del popolo palestinese

Quando il mondo si accorgerà della folle segregazione razziale perpetuata da Israele?

Continua il processo israeliano di colonizzazione dei territori palestinesi. L’espropriazione di terre e risorse naturali, prosegue nonostante violi clamorosamente il diritto internazionale e nonostante l’Ufficio per gli Affari Umanitari dell’Onu abbia lanciato un chiaro allarme sulla grave espulsione forzata di oltre 60 mila palestinesi. Le colonie sono localizzate in punti strategici, ricchi di risorse, come la Valle del Giordano, oppure di rilevanza geopolitica, come Gerusalemme Est, nella quale Israele sta attuando un processo di ebraicizzazione, atto a deturpare simboli e fattori culturali arabi e cristiani. L’occupazione illegale della Valle del Giordano ha origini remote e risale dal 1978, anno in cui fu creato il primo insediamento israeliano a Tomer. Attualmente, migliaia di palestinesi non riescono più a sfamare le loro famiglie, non potendo più contare sul raccolto delle loro terre. “Non solo gli Israeliani ci hanno rubato le terre – racconta un agricoltore della valle -, ma ci hanno anche costretto a lavorare per loro. Passo la giornata a raccogliere ed innaffiare le coltivazioni di peperoni e pomodori. Nel mio villaggio non ho nemmeno l’acqua corrente”(Nena News).

La regione della Valle del Giordano è particolarmente fertile e molto ampia, copre circa un terzo dell’intera Cisgiordania, ed è l’area più ricca di risorse idriche. Eppure, il 98% dell’acqua è accessibile esclusivamente agli israeliani. Il 75% della popolazione locale palestinese si è trovata quindi costretta a lasciare la valle.  Tutti gli altri sono stati incaricati da Israele a lavorare nelle colonie per pochi shekel. “Gli israeliani preferiscono i lavoratori palestinesi perché hanno una maggiore esperienza nell’agricoltura” ha dichiarato a Nena News un altro contadino impiegato nelle piantagioni di Tomer. Ai Palestinesi delle colonie è vietato di costruire case, scavare pozzi, andare a scuola e non possono neanche raccogliere l’acqua piovana.Sono inoltre sfruttati come lavoratori nelle loro terre, senza poter neanche raccoglierne i frutti.

Eleonora Pochi
Fonte: Fuori le Mura

05/03/12

“Con i 15 miliardi in spese militari, costruite asili e posti di lavoro”

Una raccolta firme per chiedere al governo di retrocedere dall’impegno d’acquisto miliardario di cacciabombardieri. Si chiede anche una stretta alla spesa militare, l’unica che non conosce crisi. 

Un mese di rilevanti iniziative di mobilitazione per diramare la campagna “Taglia le ali alle armi”, promossa da Sbilanciamoci!, Tavola della Pace, Rete Italiana per il disarmo e Unimondo, che mira a bloccare l’acquisto da parte del governo italiano di 131 cacciabombardieri F-35 prodotti in Usa. Un piano da 15 miliardi, l’ennesimo investimento per la guerra, l’unico business che non ha mai conosciuto crisi.

Nel bilancio di previsione per il 2012, è riservata al Ministero della Difesa una spesa di € 20.005.254.128, che a dispetto di qualsiasi altra voce di spesa pubblica, tende ad aumentare nel biennio 2013-2014. In altre parole, l’Italia ha speso e continua a sborsare oltre due miliardi di euro al mese in spese militari.

Nel biennio 2009-2010 il nostro paese ha esportato armi leggere per oltre un miliardo di euro, raggiungendo, più o meno direttamente, aree in cui l’Italia stessa ha dispiegato soldati e carri armati in nome della pace, oppure paesi in cui si registrano gravi violazioni dei diritti umani,  trasgredendo, come se niente fosse, leggi nazionali e trattati internazionali. Solo in Libia, sono arrivate armi, realizzate da aziende italiane, pari a 8 milioni di euro che sono state utilizzate tanto dai rivoluzionari quanto dal regime.

Per chiedere al governo di fare marcia indietro sulla questione degli F-35 e di ridurre le spese militari, sono già state raccolte migliaia di firme ed il 25 febbraio è prevista una giornata di mobilitazione in oltre 100 città italiane per sottoscrivere l’appello. La consegna delle firme al governo avverrà in occasione della manifestazione indetta il 1° marzo a Roma. In occasione dell’incontro-start up della fase più incisiva della campagna per il disarmo e la riduzione delle spese militari, attiva già dal 2009, il presidente dell’associazione Movimento Nonviolento, fondata da Aldo Capitini, ha sottolineato in merito al maxi acquisto bellico: “La costruzione di un avvenire di nonviolenza parte anche dalle scelte concrete di disarmo e riduzione delle spese militari ed è quindi naturale che chi lavora quotidianamente in questa prospettiva sia tra i primi a muoversi contro questo mastodontico progetto d’armamento costosissimo, contrario allo spirito della nostra Costituzione e forse anche inutile militarmente”.

I tagli al welfare e l’innalzamento delle imposte, giustificati dalla crisi, sono visibili e fin troppo tangibili per gli italiani. Occorre rendersi conto che ci sono decine di miliardi che il governo utilizza per finanziare guerre “umanitarie” per “esportare la democrazia” ed armare fino ai denti il nostro esercito. Se una cosa la Storia deve insegnarci, è che nessuna guerra ha mai portato pace, casomai ha innestato odio e disumanità sia nei soldati che uccidono per sopravvivenza, sia nelle vittime, annichilite da traumi fisici e psicologici indelebili. Tornando ai 15 miliardi di spese militari di un paese a rischio default, è opportuno considerare che potrebbero essere dirottati su voci di spesa da tempo in evidente sofferenza, quali per esempio occupazione, istruzione e ricerca, che senz’altro apporterebbero un contributo positivo per la ripresa dell’economia. “Con i 15 miliardi da spendere per gli F-35 potremmo costruire 45 mila asili nido pubblici – ha fatto notare Giulio Marcon, portavoce di Sbilanciamoci! -, creando oltre 200 mila posti di lavoro oppure mettere in sicurezza le oltre 13 mila scuole italiane che non rispettano le norme antisismiche e quelle antincendio”. Oltre la campagna per gli F-35 c’è la decennale opposizione, da parte di tutte le associazioni promotrici, ad ogni investimento bellico perché il conflitto armato è “il più grave crimine contro l’umanità” ed affinché l’Onu riesca davvero a “risparmiare alle generazioni future il flagello della guerra”.


Info sulla campagna
www.sbilanciamoci.org
www.perlapace.org
www.disarmo.org


Eleonora Pochi
Fonte: Fuori le Mura