24/10/11

L’altra faccia del 15 ottobre

Oltre gli episodi di violenza, c'è stata la presenza di centinaia di migliaia di persone in piazza che hanno condotto una grande protesta, messa in ombra da gran parte dei media
  



Un fiume di esseri umani, uniti per il cambiamento globale, compatti contro la crisi. Studenti, lavoratori, disoccupati, giovani e meno giovani hanno sfilato sabato 15 ottobre per decine di chilometri, inarrestabili, instancabili, armati solamente di un’intelligente consapevolezza. Un esercito di centinaia di migliaia di indignati, dalle 14 fino a sera, di cui non si parla. Tutti sanno, però, di quella banda di incappucciati che ha messo a ferro e fuoco piazza San Giovanni, delle macchine incendiate, del blindato della Polizia in fiamme. Quelle immagini hanno fatto, nel giro di pochi minuti, il giro del mondo, facendo calare un sipario nero e spettrale sulla giornata di mobilitazione romana. La manifestazione di sabato scorso rispondeva all’appello internazionale “United for Global Change”, rappresentando una protesta mondiale, anche oltre la data del 15, tesa a denunciare i meccanismi di un sistema economico, il capitalismo, che ha prevalso sulle democrazie. “Non siamo merce nelle mani dei banchieri”, “Gli esseri umani prima dei profitti”, “democrazia reale, ora!” sono alcuni degli slogan che hanno accompagnato l’iniziativa.

E’ il 15 ottobre, ma è una giornata di primavera a Roma. Già dalla tarda mattinata piazza della Repubblica non riesce a contenere i manifestanti e nell’attesa di partire in corteo anche piazza dei Cinquecento è gremita di indignati. Ci sono uomini, donne ed anche bambini e la violenza non rientra nel vocabolario delle centinaia di migliaia di persone in piazza. Poco dopo le 14 si parte,  uno tsunami umano invade lentamente Roma, teatro di una grande mobilitazione, anticipata dalle recenti proteste dei Draghi Ribelli e degli Indignati accampati in strada. In tutto il mondo si manifesta per la stessa causa e in strada si respira un’atmosfera difficilmente descrivibile, un altro emisfero rispetto al Far West di piazza San Giovanni.

Si procede adagio, alcuni inquilini di Via Cavour, soprattutto anziani, si affacciano accennando gesti di supporto alla protesta, trasversale, pacifica, dal basso. Ma questa è l’Italia che non finisce in prima pagina. In fondo è solo il 99%, una percentuale  messa in secondo piano da quell’1% la cui protesta si esprime attraverso inconcepibili atti di violenza. Proprio quel 99% sceso in piazza per rigettare il pagamento di un debito contratto da un’1%. La proporzione è la medesima. Proseguendo, s’incontrano le prime due auto bruciate e qualche vetrina rotta. Suonano i telefoni di molti di noi, “Dove sei? Fai attenzione”. Da casa guardano preoccupati alla tv la guerriglia che si sta scatenando a pochi chilometri di distanza, gli scontri tra black bloc e forze dell’ordine, tra manifestanti e black bloc, tra manifestanti e celerini, che ne colpiscono alcuni gratuitamente. Il bilancio è di 70 feriti.
Roma è l’unica città al mondo, durante la giornata del 15, che registra simili avvenimenti. Una vergogna all’italiana.

Si procede in corteo, cercando di rimanere uniti ed evitare che nessuno si disperda. Un gruppo di scellerati violenti non ferma uno tsunami pacifico. Arrivati in prossimità del Circo Massimo, si continua verso Piramide, per proseguire lungo via Magna Grecia. Qui s’incontrano numerosi cassonetti rovesciati e  trascinati in mezzo alla strada, decine di ragazzi si uniscono per ricollocarli pian piano al ciglio della strada, molti li applaudono, ma questo nessuno lo sa. Sono le 20:30 circa quando arriviamo alla volta di piazza San Giovanni, ci viene impedito di passare oltre gli archi, l’intera area è stata chiusa.
Faccio capolino dagli archi per capire la situazione e quello che si intravede è una piazza tetra, triste, devastata, privata della sua bellezza, illuminata dai lampeggianti delle camionette della polizia. Tutt’altra cosa rispetto alla giornata trascorsa con le migliaia di manifestanti con i quali  ancora cammino. Si decide di proseguire fino a piazzale Aldo Moro, dal quale gli studenti erano partiti dieci ore prima. Il passaggio sulla Tangenziale ci ha aiutato a contarci. Sono quasi le 22, ma basta voltarsi per rendersi conto che, nonostante la stanchezza, siamo ancora in migliaia, un lunghissimo fiume di persone. Una straordinaria sorpresa, un’indescrivibile soddisfazione. Chissà che penserebbe la gente a casa se ci vedesse alla tv. Chissà quanto soddisfacimento avremo potuto dare alle ulteriori migliaia di manifestanti che si sono trovati inermi nella guerriglia, il cui sacrosanto diritto di manifestare è stato infangato.

Una giornata, quella del 15 ottobre, che ha rappresentato l’indignazione a livello globale, una violenza prettamente italiana. La rivoluzione non è un pranzo di gala, ma neanche una guerra tra poveri.

Pics by Filippo Rioniolo
Eleonora Pochi

14/10/11

"Gli esseri umani prima dei profitti", arriva la rivolta mondiale

Il prossimo 15 ottobre Roma sarà emblema della protesta italiana, nata dall’appello internazionale: “Non siamo merce nella mani di politici e banchieri”
  
Il 15 ottobre non è una comune giornata di protesta, di quelle che oramai ogni giorno abitano legittimamente le strade della Capitale. Non è neanche una mobilitazione esclusivamente nazionale, come quelle che hanno riversato milioni di italiani in piazza. E’ un qualcosa di più grande. E’ la rivolta dell’Occidente, di quella parte di mondo sulla quale il capitalismo sta manifestando l’altro lato della medaglia, sulla quale un sistema economico ha prevalso sulla democrazia.

Le misure d’austerità imposte dai governi, subordinati al volere del Fmi, Bce e Ue, non sono solo ingiuste per la popolazione, provocando tragiche conseguenze sulle condizioni e la qualità della vita quotidiana di tutti, ma fin dal principio sono destinate a fallire. L’intento dell’austerity è di eludere il default, che provocherebbe il crollo delle banche e delle grandi aziende, finora nutritesi di bolle speculative, e non di assicurare il bene comune. I Signori del profitto hanno causato la crisi economica e finanziaria più profonda dal 1929, delegando ai cittadini il pagamento di un debito mai contratto, e preservando loro la via della povertà, dell’instabilità economica, sociale e psicologica a causa della crisi. Le vie di molte metropoli, prima tra tutte Atene, sono sempre più popolate da senzatetto, uomini affamati, persone bisognose di cure mediche ed assistenza.

Il cosiddetto divario tra Paesi sviluppati e Paesi in via di sviluppo sta man mano colmandosi, ma non, come era auspicabile, grazie allo sviluppo di questi ultimi, quanto per l’involuzione del “Nord del mondo”. Proprio quei Paesi che la iena capitalismo ha sbranato fino all’osso, man mano ci assomigliano. Chissà perché.

Gente d’Europa, d’America ed altre regioni del mondo, il 15 ottobre, prenderà le strade e le piazze con l’intento di dare inizio ad una forte e chiara resistenza pacifica, di fronte a classi
dirigenti che agiscono nell’interesse di una ristretta oligarchia, ignorando clamorosamente volontà e reali esigenze di miliardi di cittadini. C’è bisogno di un’altra economia, un’altra società e soprattutto di una democrazia vera.
Gli americani che hanno visto pignorate le loro case dallo Stato a causa dell’insolvenza dei loro prestiti, quei milioni di persone nel mondo che non hanno più un tetto sulla testa colpevoli di non esser riusciti a pagare una rata del proprio mutuo, chi è costretto a scegliere tra cibo o medicine perché non ha abbastanza soldi per avere entrambi oppure i ragazzi indebitati già prima di iniziare a lavorare pur di pagarsi gli studi, sono episodi che dimostrano i frutti della semina capitalista.
United for Global Change è il nome del movimento globale ed il Coordinamento 15 ottobre sta occupandosi dell’organizzazione nazionale della giornata che convergerà a Roma. La manifestazione partirà il prossimo sabato alle 14.00 da piazza della Repubblica e sfilerà per le principali strade della Capitale fino ad arrivare in piazza San Giovanni. Non ci resta che aspettare il prossimo sabato. People of the world, rise up.

Eleonora Pochi

12/10/11

La Roma dell’iPhone in metro, tra conti in rosso e licenziamenti

Un passo tecnologico in avanti sicuramente apprezzabile, se non fosse per i dieci compiuti indietro
Anche in metrò si potrà telefonare. Da ora è possibile grazie ad un accordo siglato dal Comune di Roma con i quattro giganti della telefonia mobile, Tim, Vodafone, Wind e 3Italia, che prevede la copertura del servizio sull’intera linea A entro il 2012 . “Un opportunità che non poteva essere rinviata” secondo Alemanno, soddisfatto del passo in avanti per raggiungere il livello di competitività tecnologica di molte capitali europee. Secondo quanto dichiarato dall’assessore capitolino alla Mobilità, Antonello Aurigemma, si tratterebbe di un servizio a costo zero per l’amministrazione comunale, che frutterà ad Atac circa un milione di euro l’anno. Non si sa più da dove far cassa.

I municipi romani sono allo stremo, non si hanno più fondi per garantire ai cittadini servizi sociali essenziali quali assistenza ai disabili e agli anziani, asili nido e mense scolastiche. “I municipi di Roma sono oggi ridotti alla completa paralisi – s’apprende dalla dichiarazione congiunta dei presidenti municipali -. Privi di risorse economiche e di personale cercano di fronteggiare il malessere dei romani assicurando il governo dei territori in condizioni ormai disperate. Non si aprono le scuole e asili nido ormai pronti e disponibili ad accogliere i nostri bambini”. Gli amministratori municipali reclamano fondi stanziati da tempo, ma mai pervenuti. Alemanno ha definito “presuntuosa” la protesta dei minisindaci.

Ma torniamo alla nostra cara metropolitana. Sono bloccati i lavori per il prolungamento della metro B1 oltre Conca d’Oro, per la tratta Jonio-Bufalotta, poiché il Comune di Roma non ha rispettato l’impegno, assunto con un’ordinanza della Presidenza del Consiglio dei Ministri, di finanziare il progetto attraverso valorizzazioni immobiliari, per un ammontare di 650 milioni di euro. Le aree in questione non sono neanche state ancora stimate.
 Anche per la Metro C i cantieri sono stati bloccati: “Siamo in attesa di 135 milioni di euro per lavori già eseguiti e di 80 milioni destinati alla linea C. La tratta San Giovanni-Colosseo è di fatto bloccata per questo” ha dichiarato l’Ad di Roma Metropolitane. I mancati finanziamenti comunali, ma anche regionali e statali, recintano di nastro segnaletico cantiere dopo cantiere e scaturiscono una catastrofe occupazionale. I sindacati Feneal, Uil, Filca, Cisl, Fillea, Cgil hanno annunciato l’arrivo di un’ondata di licenziamenti collettivi del Consorzio Metro C, già a partire dallo scorso 30 settembre: “Colpirà 90 lavoratori. Nei primi giorni di ottobre – s’apprende dalla nota – partiranno i licenziamenti anche per la linea metropolitana B1, la cui prima ondata coinvolgerà ulteriori 40 lavoratori. Prende dunque corpo lo spettro di una vera e propria emorragia occupazionale nella città di Roma”.

Ma gli operai dell’underground non sono certamente i soli ad essere licenziati in massa. Fanno loro compagnia, prendendo in considerazione solo la scorsa settimana, i 90 operatori della Croce Rossa italiana, che ha causa della cessazione dell’accordo tra Ares 118 e Cri, saranno licenziati in quanto verranno chiuse numerose postazioni 118 nelle zone periferiche della Capitale e in provincia.  Come non considerare, infine, quei 257 operatori sociosanitari del San Raffaele di Velletri, licenziati in massa. Questi sono dati che riguardano esclusivamente la scorsa settimana. Una capitale che giorno dopo giorno assapora il gusto della povertà, ma tutto sommato con l’iPhone in metro ci si può svagare.  Si aggirano i problemi di una realtà romana sempre più amara, offrendo una caramella.


Eleonora Pochi
Fonte: Fuori le Mura

04/10/11

La Marcia per la Pace cinquant'anni dopo

Come ogni anno, Perugia ed Assisi hanno accolto migliaia di attivisti. Un sentiero di ventiquattro chilometri per attirare l'attenzione nazionale ed internazionale su tematiche che pesano sulle spalle dell'umanità

A cinquant’anni dalla prima Marcia per la Pace organizzata da Aldo Capitini, filosofo perugino, la manifestazione continua a svolgersi con un'enfasi e partecipazione sempre crescenti. In circa duecentomila hanno sfilato lo scorso 24 settembre, da Perugia ad Assisi, un cammino lungo ben 24 chilometri. Uno tsunami di pace con l'intento di spazzar via quanta più violenza possibile. Il nome dell'iniziativa per quest'anno è lo stesso del 1961, “Per la pace e la fratellanza dei popoli”, un obiettivo per il cui raggiungimento si adoperano quotidianamente milioni di esseri umani, ma altrettanti milioni remano contro. Ci si rende conto che molto è stato fatto, ma ancora c'è tanto da lavorare. Sul palco allestito in piazzale della Basilica di San Francesco, sono state spese parole per la liberazione di Francesco Azzarà, volontario Emergency rapito lo scorso mese in Darfur e che sembrerebbe essere presto rimpatriato. Si è parlato della questione palestinese e dell'incidenza che il conflitto arabo-israeliano assume nel contesto mondiale, anche analizzando il ruolo dei capitali occidentali tesi a finanziare le guerre. Infine il tema del taglio alle spese militari è stato, come ogni anno, oggetto di una cosciente e ragionata riflessione.

Un rinnovo, quello della Perugia-Assisi, di un appello alla pace in virtù dell'uguaglianza tra popoli, un richiamo alla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, troppo spesso dimenticata: “Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti – recita il primo articolo del documento promosso dagli Stati membri delle Nazioni Unite, stilato poco dopo le atrocità della Seconda guerra mondiale -. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza”. Utopistico per molti, imprescindibile per altri. L'appello del Comitato promotore dell'appuntamento annuale della pace è concreto, possedendo principi ispiratori, proposte ed impegni. “Se vogliamo la pace dobbiamo investire sulla solidarietà e sulla cooperazione a tutti i livelli – s'apprende dalla mozione approvata dal 'popolo della pace' -, a livello personale, nelle nostre comunità come nelle relazioni tra i popoli e gli stati. La logica perversa dei cosiddetti "interessi nazionali", del mercato, del profitto e della competizione globale sta impoverendo e distruggendo il mondo. La solidarietà tra le persone, i popoli e le generazioni, se prima era auspicabile, oggi è diventata indispensabile”. Tra le proposte avanzate nel documento figurano investimenti su giovani, educazione e cultura, tagli alle spese militari, incentivare un'informazione libera e pluralista, garantire l'accesso al cibo e all'acqua per ognuno: “Il futuro non è nella chiusura in comunità sempre più piccole – sottolinea il comitato promotore della Marcia -, isolate e intolleranti che perseguono ciecamente i propri interessi ma nell’apertura all’incontro con gli altri e nella costruzione di relazioni improntate ai principi dell’uguaglianza e alla promozione del bene comune. Praticare il rispetto e il dialogo tra le fedi e le culture arricchisce e accresce la coesione delle nostre comunità. I rifugiati e i migranti sono persone e come tali devono vedere riconosciuti e rispettati i diritti fondamentali”.

Eleonora Pochi