28/02/13

Africa for Norway” una campagna contro gli stereotipi dell’Occidente

“Immagina se ogni persona in Africa vedesse il video “Africa per la Norvegia” e quest’ultimo fosse l’unica informazione mai avuta sul paese nordeuropeo. Che cosa penserebbero della Norvegia? Se diciamo Africa, tu a cosa pensi? ” Questo è il messaggio che lancia la campagna Africa for Norway, che simula efficacemente il retroscena delle azioni di aiuto dell’Occidente verso l’Africa. Capire che Africa non significa solo fame, Aids e povertà è forse la sfida umanitaria più grande per i popoli del “nord del mondo”. Intendo porre l’accento sui popoli, poiché si intende che le classi dirigenti e i grandi capitalisti questo lo sanno, ma operano intenzionalmente affinché un continente intero passi come un pozzo di sciagura eterna. Si dovrebbe scrivere un libro sulle ragioni per cui uomini d’affari e politici lavorano assiduamente per screditare l’Africa, ma ci si può limitare ad accennare sommariamente la paura di perdita di supremazia mondiale economica e politica, perdita di colonie, privazione di materie prime a basso costo.
Se a tutto questo si aggiunge l’immagine che i mass-media definiscono dell’Africa e gli aiuti concessi tanto per essere a posto con la coscienza o con la dichiarazione dei redditi, senza alcun seguito o un obiettivo specifico, allora ci si rende conto che, tutto sommato, l’uomo bianco deve ancora fare i conti con una mentalità razzista e intrinsecamente colonialista. Per combattere questo modo di vedere l’Africa, il progetto chiede agli africani di salvare i norvegesi dal congelamento, donando loro un termosifone. Un ironico attacco contro ogni “pietismo”, in difesa delle potenzialità di sviluppo di un continente che non può vivere solo di “aiuti umanitari”.

Il videoclip  preparato per la campagna, realizzato da studenti norvegesi e professori universitari del Fondo di assistenza internazionale, è una canzone in stile natalizio che lancia, in maniera ironica, un messaggio davvero importante: “La verità è che ci sono molti sviluppi positivi nei paesi africani e vogliamo che questo diventi noto. Abbiamo bisogno di cambiare le spiegazioni semplicistiche dei problemi in Africa. Abbiamo bisogno di educare noi stessi sulle questioni complesse e ottenere maggiore attenzione su come i paesi occidentali hanno un impatto negativo sullo sviluppo dell’Africa. Se vogliamo affrontare i problemi che il mondo si trova ad affrontare abbiamo bisogno di agire basandoci sulla conoscenza ed il rispetto” si legge sul sito del progetto. Ed è proprio attraverso la conoscenza ed il rispetto che i cittadini occidentali devono avvicinarsi all’Africa, scoprendo un continente nuovo e ricco di intelligente umanità, prima che di risorse.




Riferimenti campagna:
Sito: http://www.africafornorway.no/
Facebook: “Africa for Norway”
Twitter: @SAIH #AfricaforNorway

Eleonora Pochi

26/02/13

The Summit, nuove verità sui massacri del G8 di Genova

Una nuova inchiesta, diretta dai giornalisti Franco Fracassi e Massimo Lauria, che riporta l’attenzione sulla “più grande sospensione dei diritti umani dalla seconda guerra mondiale”, durante il G8 di Genova nel 2001″ (Amnesty). The Summit, in concorso al Festival di Berlino, è il frutto di molti anni di lavoro, migliaia di documenti raccolti, centinaia di registrazioni audio e video ed oltre cento testimonianze dirette. Un omaggio alla verità, offerto da un gruppo di giornalisti insinuatosi nei meandri di una questione che ancora oggi è scottante, permettendoci di venire a conoscenza di fondamentali dettagli, finora sconosciuti. Occorre anzitutto definire sommariamente la cornice nel quale l’inchiesta s’è svolta.

Agli albori del nuovo millennio, milioni di persone in diversi paesi del mondo sono scese massicciamente in piazza per opporsi al via libera dei governi ad una globalizzazione che si sarebbe occupata esclusivamente di economia e finanza, attraverso una liberalizzazione schizofrenica dei mercati. Con il “Millennium Round”, il vertice dell’Organizzazione Mondiale del Commercio del 1999 a Seattle, si alzava formalmente il sipario sulla più sfrenata fase del capitalismo, proprio quella fase che ora tutto l’Occidente sta pagando a caro prezzo. Quella fase che ha innescato la bomba esplosa dopo meno di un decennio e che ha causato la più profonda delle crisi dell’era contemporanea. La gente reclamava pacificamente la tutela dei diritti umani, dei diritti sociali, maggiore attenzione all’ambiente e tutte quelle questioni che in nome del profitto erano volutamente depennate dalle agende politiche. In special modo tutto ciò che riguardava la tutela del benessere nei paesi in via di sviluppo, visti da USA e UE meri cantieri di manodopera e risorse low cost. La forte contestazione di piazza provocò un esito quasi nullo del vertice di Seattle. Molti manifestanti vennero arrestati ed altrettanti furono manganellati e feriti. Nel 2000, il vertice della Banca Mondiale che si svolse a Praga, fu significativamente contestato, così come si manifestò nelle strade di Napoli nel marzo del 2001, in occasione del Global Forum sull’e-government. I violenti scontri che ci furono tra polizia e manifestanti in quella occasione furono il primo segnale di una insidiosa e pericolosa anomalia nella gestione dell’ordine pubblico. Fu la prima volta che i manifestanti furono caricati dalla polizia in un’area dove non c’erano vie di fuga e di dispersione per il corteo e questo non era affatto previsto dalla procedura ordinaria.

Nel frattempo, a partire dal 2001, si diede il via al Forum Sociale Mondiale di Porto Alegre, per costruire un’alternativa comune in contrapposizione al Forum Economico Mondiale. “Un altro mondo è possibile” fu lo slogan con il quale un movimento internazionale di cittadini, volle focalizzare l’attenzione sull’importanza di scelte eque e di rilevanza sociale. Da qui, la contrarietà verso istituzioni come Banca Mondiale, Fondo Monetario Internazionale, NATO e il vertice G8, quest’ultimo composto dagli Stati protagonisti di questo nuovo ciclo del capitale.
Purtroppo, forum e contro-forum, non sono gli unici appuntamenti nei quali si discute di tematiche che investono la storia di quegli anni. The Summit evidenzia che ci furono una serie di incontri per un coordinamento di intelligence sovranazionale. Figure provenienti dai servizi segreti, dalla polizia e dagli eserciti dei paesi occidentali, si confrontarono per adottare una strategia repressiva e contenere in maniera incisiva, o meglio soffocare, la protesta di milioni di cittadini, assolutamente pacifici. Per il G8 di Genova del 2001, agli agenti fu impartita una disumana preparazione militare. Un addestramento che li portò al massimo dell’esaltazione e della violenza. Furono sguinzagliati come cani feroci. Molti testimoni raccontano della terrificante esaltazione di quei battaglioni. Avanzavano marciando, battendo fortemente i manganelli sugli scudi, e una volta arrivati nella folla, massacravano indistintamente grandi, piccoli, handicappati e anziani. Dai racconti di alcuni testimoni protagonisti nell’inchiesta di Fracassi e Lauria si percepisce molto in merito.

Il documentario rende pure l’idea di quanto pacifico, condiviso e compatto potesse essere il movimento e quindi quanto duramente decisero di reprimerlo vista l’incapacità delle classi politiche di ascoltare le richieste dei cittadini. Forse fu il momento storico in cui i cittadini riuscirono più incisivamente a rigettare il sistema capitalista. Durante i durissimi scontri del 19 luglio nelle vie genovesi, il giornalista Franco Fracassi, nonché regista del documentario, racconta: “Un agente mi disse ‘Vuoi proprio sapere dove saranno gli scontri domani? Fatti trovare all’angolo della banca a piazza Paolo da Novi a mezzogiorno di domani. E vedrai che lì cominciano gli scontri ‘. La mattina dopo arrivo in quell’angolo. In quel momento ci stavano i Cobas, e uno schieramento di polizia, che era proprio in quel punto là. A mezzogiorno, precisi come un orologio, arrivano i black bloc, e incominciano a devastare la banca. La polizia non fa altro che osservarli. Appena finito di devastare la banca scappano via. La polizia carica i manifestanti dei Cobas”.
L’inchiesta, anche grazie al contributo di Sergio Finardi, esperto di tattiche di guerra informali, evidenzia anche quell’alone di mistero che ruota intorno a questi gruppi contraddistinti da abiti neri. Sembrerebbero a tratti estremisti con ragioni di base comuni ai manifestanti pacifici, ma secondo alcune fonti, sarebbero neonazisti, o addirittura membri di forze dell’ordine, camuffati da black bloc. Ma chi sono? Esisteranno davvero questi black bloc?
Ci si sofferma anche sul massacro della scuola Diaz, di recente raccontato altrettanto realisticamente da Daniele Vicari in Diaz- Don’t clean up this blood. L’inchiesta analizza altri aspetti rilevanti: la presenza tra le forze dell’ordine di CCIR (Compagnie di contenimento e intervento risolutivo), normalmente impiegate per interventi in zone di guerra all’estero, l’uso di fumogeni CS4, catalogati come armi di distruzione di massa, e l’uccisione di Carlo Giuliani, ammazzato da un proiettile che nessuno mai ci dirà con assoluta certezza da quale mano sia partito. L’inchiesta mostra alcuni aspetti misteriosi della presunta colpevolezza di Mario Placanica, che sembrerebbe essersi accollato la responsabilità del fatto, che però sembrerebbe andare ben al di là di un colpo partito frettolosamente per “legittima difesa”. Cosa e chi si vuole nascondere? Una cosa è certa. L’intercettazione telefonica tra due agenti che ridendo si dicono “uno a zero per noi”, in riferimento alla morte di Giuliani, lascia col nodo alla gola. E i 97 minuti di filmato, bastano per suscitare un profondo sgomento. Vedere The Summit non è semplicemente consigliato, è assolutamente necessario. Proprio come sono estremamente necessari l’introduzione del reato di tortura nel nostro codice penale e i numeri identificativi sui caschi delle forze dell’ordine.

Eleonora Pochi