25/01/11

27 GENNAIO: Giornata della Memoria

Con il termine Shoah, che sta a significare “desolazione, catastrofe, disastro”, ci si riferisce al genocidio compiuto dal regime nazista, in particolare alla sistematica uccisione di circa 6milioni di ebrei. Nei confronti degli ebrei, il nazismo manifesta da subito un particolare accanimento, vengono identificati come il male, una presenza demoniaca e gravemente negativa per la nazione tedesca. Sebbene gli ebrei siano stati le principali vittime dell’olocausto, centinaia di migliaia di zingari, disabili, prigionieri di guerra, sovietici, polacchi, comunisti, socialisti, omosessuali e bambini vennero uccisi. Con la morte del presidente Hindenburg, Hitler salì al potere assumendo la duplice carica di Presidente della Repubblica e di cancelliere, instaurando un regime totalitario in nome della “Mein Kampf”,che tradotto significa “La mia battaglia per il riconoscimento della razza ariana”, nella quale pose gli elementi caratterizzanti della sua ideologia: la superiorità della razza ariana alla quale sarebbe stato attribuito il merito esclusivo del progresso dell’umanità, la teoria dello spazio vitale, secondo la quale i tedeschi avrebbero dovuto unirsi in un’unica grande patria germanica, la presenza di un capo Furher, ossia “condottiero”, che sarebbe dovuto essere al di sopra di qualsiasi legge o giudizio ed infine la teoria dell’antisemitismo. La situazione degenerò nel 1935 con le Leggi di Norimberga che privarono gli ebrei di qualsiasi diritto e libertà. Essi furono inoltre obbligati ad esibire sul braccio la stella di David, furono banditi dalla nazione tedesca e furono vietati legami e matrimoni tra ebrei tedeschi in nome della “protezione del sangue e dell’onore tedesco”. 

 L’atrocità nazista raggiunse il suo apice a partire dal 1942. I tedeschi si resero conto che, anche se deportati nell’Europa orientale, gli ebrei erano d’intralcio secondo la sopracitata teoria dello spazio vitale, che la Germania doveva guadagnarsi ad Est; si giunse quindi alla cosiddetta “soluzione finale”, ossia l’eliminazione fisica degli ebrei. I nazisti trasferirono così gli abitanti dei ghetti nei campi della morte. I lager, o campi di concentramento, divennero sede del genocidio più grave della storia umana. 

Le vittime arrivavano nei campi dopo estenuanti viaggi in carri bestiame, all’arrivo le SS(Schutzstaffeln) separavano gli uomini dalle donne costringendoli a spogliarsi e consegnare tutto quello che era in loro possesso. Venivano poi spinti nelle camere a gas, dall’aspetto di stanze per la doccia mentre una minoranza veniva selezionata per il lavoro forzato. Nei campi di sterminio furono provate torture atroci, gli uomini venivano usati come cavie per testare nuovi farmaci, veleni ed armi; per studiare la resistenza al dolore con il monossido di carbonio o con iniezioni di fenolo intracardiache. Lo sterminio mirava, oltre che alla distruzione fisica, anche alla distruzione morale attraverso condizioni di vita insopportabili, lavoro massacrante ed umiliazioni disumane. Le atrocità commesse nei campi di sterminio ci sono giunte anche grazie alle testimonianze dei sopravvissuti, come Primo Levi,del quale riportiamo la poesia “Se questo è un uomo”, che hanno contribuito a far luce sul periodo più buio della storia umana. 

Nonostante la verità di questi avvenimenti sia tragicamente nota, si è sviluppato nel tempo il cosiddetto Revisionismo, una minoranza di persone, spesso vicina a movimenti di estrema destra, nega la veridicità dell’olocausto. Questo atteggiamento viene giudicato molto pericoloso perché nega in modo arrogante l’evidenza con la presunzione di correggere e falsificare la storia, poiché l’olocausto deve essere ricordato, studiato, capito a fondo affinché non si ripeta mai più un evento del genere…Anche se, come noto, avvenimenti simili si ripetono tutt'oggi in varie parti del mondo. 

Se questo è un uomo 

Primo Levi 

Voi che vivete sicuri nelle vostre tiepide case, 
voi che trovate tornando a sera il cibo caldo e visi amici: 
Considerate se questo è un uomo che lavora nel fango 
che non conosce pace che lotta per mezzo pane 
che muore per un si o per un no. 
Considerate se questa è una donna, 
senza capelli e senza nome senza più forza di ricordare
vuoti gli occhi e freddo il grembo come una rana d’inverno. 
Meditate che questo è stato: vi comando queste parole. 
Scolpitele nel vostro cuore stando in casa 
andando per via, coricandovi, alzandovi. 
Ripetetele ai vostri figli. 
O vi si sfaccia la casa, la malattia vi impedisca, 
i vostri nati torcano il viso da voi.

Eleonora Pochi
Fonte: Fuori le Mura 

21/01/11

L'Italia nella trappola dell'indebitamento

Come si evince dall’andamento della curva del grafico, il debito italiano cresce in maniera continuativa e costante da più di 30 anni, rendendo la prospettiva di bancarotta sempre più concreta.
A causa di cattive amministrazioni ed eccessivi sprechi, dal secondo dopoguerra il debito pubblico è sempre salito e continuerà l’impennata anche nel 2010, superando il 123% nel rapporto debito/Pil.Con l’anno venturo, Tremonti s’è accorto che esiste la crisi, se fino a poco tempo fa dichiarava “Crisi? L’Italia è fuori, il governo ha fronteggiato il rischio del collasso dei conti pubblici” , ora invece s’appresta a confessare “Siamo come in un videogame, vedi un mostro, lo combatti e vinci, poi ne compare un altro più forte del primo”.
In termini monetari, il debito italiano ammonta oggigiorno al suo massimo storico, 1.869.141 miliardi di euro e vi invito a cliccare sul link per osservare come sale, ogni secondo, l’inquietante “contatore del debito”. Per meglio rendere l’idea, si consideri che tra gennaio e luglio 2010 il debito è salito di 50.100.143.820 euro, più di 7 miliardi al mese, 236 milioni al giorno, circa 10 milioni di euro all’ora, 164.112 euro al minuto.


Implicito è l’aumento del deficit, semplicisticamente la differenza negativa tra entrate e spese pubbliche annuali, causa dell’indebitamento inarrestabile del nostro paese. Nel 2010 l’Italia, secondo le stime FMI, riporterebbe un saldo negativo dei conti pubblici pari a 6,3%, a differenza dell’1,5% del 2007.
Le cifre parlano da sole e questo 2011 sembrerebbe riservarci la rovina, il raggiungimento della soglia dei duemila miliardi di debito pubblico. Si, DUEMILA MILIARDI.
Il debito pubblico procapite è di 31mila euro,  in altre parole, ognuno di noi porta sul groppone il peso del debito pubblico, che prima o poi presenterà il conto, indistintamente a ricchi e poveri.
Per evitare che il debito esploda, come la situazione attuale della Grecia, l’antidoto è un buon tasso di crescita, almeno del 2%. Secondo Lodovico Pizzati, Economista Università di Venezia “La debole crescita italiana, che s’attesta ad un misero 0,2% non è abbastanza ed inoltre – spiega – se diminuisci la spesa pubblica di 25miliardi, da sola non basta perché si rischia di uccidere la crescita”.
La ricetta per l’aumento della crescita senza dubbio comprende meno corruzione in primis, meno presenza dello Stato a favore della libera iniziativa economica e non è un’opinione personale, ma lo evidenziano accurati studi Ocse.Secondo le stime dell’Organizzazione per lo Sviluppo Economico, le liberalizzazioni aumenterebbero la produttività italiana del 14% con un indiscutibile miglioramento nella qualità dei servizi erogati.
Al riguardo, Ugo Arrigo, economista Università di Milano commenta “Alcune aziende potrebbero tranquillamente stare sul mercato, comportando l’ausilio di tariffe più basse per i cittadini e una miglior gestione delle attività rispetto al capitalista falso, il sindaco, Tremonti, il capo di Governo, insomma chi fa l’imprenditore con i soldi non suoi sono sicuramente peggiori di qualunque altra persona che fa le stesse cose rischiando con i soldi propri”.
Dunque, come fossimo in un videogame, siamo invasi ed attaccati duramente dai mostri e le armi per difenderci ci vengono  tolte di mano per garantire l’interesse e la salvaguardia di quei pochi che i mostri, non li hanno mai visti pur essendo responsabili dell’invasione.


Eleonora Pochi

Fonte : Fuori le mura

07/01/11

Gaza: Natale sotto le bombe


Era il 27 dicembre 2008, quando le forze israeliane sferrarono il più brutale attacco alla popolazione palestinese. La cosiddetta operazione Piombo fuso fece cadere sulla testa di migliaia di cittadini della striscia di Gaza tonnellate d’esplosivo. Ventidue giorni di guerra provocarono 1.500 morti di cui 352 bambini, più di 5.500 feriti e sconvolsero la vita di 1.5milioni di persone sopravvissute ai bombardamenti, provocando, inoltre, un’elevata diffusione del cancro proveniente dall’inquinamento da fosforo bianco e dalle armi chimiche utilizzate dall’esercito di Netanyahu.
Sembrerebbe che Israele quasi sfrutti il periodo delle festività natalizie per agire con maggior discrezione. A due anni dal massacro, il cielo di Gaza è tornato a piovere bombe.Già dalla vigilia di Natale sono cominciati i bombardamenti, ma dal 27 dicembre si sono intensificati con bombe a gas e spari contro i civili dell’area di Khan Younis, nel sud della Striscia di Gaza.
Tra gli attacchi della zona, un carro armato ha sparato un colpo di cannone contro un gruppo di ragazzi che stavano giocando, provocando un morto e sei feriti.
A Gaza City, invece, un gruppo di soldati israeliani ha sparato contro un gruppo di palestinesi che stavano raccogliendo macerie per riciclarle come materiale edile, com’è solito fare dal 2008, dopo la distruzione di 20mila abitazioni private e la devastazione d’edifici pubblici, ospedali ed il conseguente embargo sui materiali edili decretato da Israele.
I cittadini della Striscia di Gaza, sotto assedio, hanno scritto una lettera aperta, in occasione dell’anniversario di Piombo Fuso, rivolta alla comunità internazionale con l’intento di suscitare una presa di coscienza collettiva di quanto di orribile avviene a causa dell’assedio. Abbiamo ritenuto opportuno pubblicare il testo integrale della lettera e vi invitiamo caldamente a leggerla con attenzione, affinché si possa comprendere meglio la reale situazione in quella particella di mondo, dimenticata, o meglio ignorata, dal mondo intero.
“Noi palestinesi della striscia di Gaza sotto assedio, oggi, a due anni dall’attacco genocida di Israele alle nostre famiglie, alle nostre case, alle nostre fabbriche e scuole, stiamo dicendo basta passività, basta discussione, basta aspettare – è giunto il momento di obbligare Israele a rendere conto dei suoi continui crimini contro di noi. Il 27 dicembre 2008 Israele ha iniziato un bombardamento indiscriminato della striscia di Gaza. L’attacco è durato 22 giorni, uccidendo, secondo le principali organizzazioni per i diritti umani, 1417 palestinesi di cui 352 bambini. Per 528 sconvolgenti ore, le forze di occupazione israeliane hanno scatenato i mezzi provenienti dagli Stati Uniti: F15, F16, Carri armati Merkava, il fosforo bianco proibito in tutto il mondo, hanno bombardato ed invaso la piccola enclave costiera palestinese dove risiedono 1.5 milioni di persone, tra le quali 800.000 sono bambini e oltre l’80% rifugiati registrati alle Nazioni Unite. Circa 5.300 feriti sono rimasti invalidi.
La devastazione ha superato in ferocia tutti i precedenti massacri sofferti a Gaza, come per esempio i 21 bambini ammazzati a Jabalia nel marzo 2008 o i 19 civili uccisi mentre si rifugiavano nella loro casa durante il massacro di Beit Hanoun del 2006. La carneficina ha addirittura superato gli attacchi del novembre1956 nei quali le truppe israeliane hanno indiscriminatamente radunato ed ucciso 274 palestinesi nella città di Khan Younis (sud della striscia) ed altri 111 a Rafah (nord).
Fin dal massacro di Gaza del 2009, cittadini del mondo si sono assunti la responsabilità di fare pressione su Israele perchè rispetti la legge internazionale, attraverso la strategia già collaudata del boicottaggio, disinvestimento e sanzioni. Come è stato fatto nel movimento globale BDS che fu così efficace nel porre un termine al regime di apartheid sudafricano, chiediamo con forza alle persone di coscienza di unirsi al movimento BDS creato da oltre 170 organizzazioni palestinesi nel 2005. Come in Sudafrica lo squilibrio di forze in campo e di rappresentazione in questa lotta può essere controbilanciata da un potente movimento di solidarietà internazionale con il BDS in testa, portando i responsabili dell’atteggiamento israeliano a rendere conto delle proprie azioni, cosa in cui la comunità internazionale ha ripetutamente fallito. Allo stesso modo, sforzi civili e fantasiosi come le navi del Free Gaza che hanno rotto l’assedio cinque volte, la Gaza Freedom March, la Gaza Freedom Flotilla, e i molti convogli via terra non devono smettere di infrangere l’assedio, evidenziando la disumanità di tenere 1,5 milioni di cittadini di Gaza in una prigione a cielo aperto.
Sono passati ora due anni dal più grave degli atti di genocidio israeliani, che dovrebbe aver lasciato la persone senza alcun dubbio sulla brutale vastità dei piani di Israele per i palestinesi. L’assalto assassino verso gli attivisti internazionali a bordo della Gaza Freedom Flotilla nel mar mediterraneo ha reso palese al mondo il poco valore che Israele ha dato alle vite palestinesi finora. Il mondo ora sa, ed adesso dopo 2 anni nulla è cambiato per i palestinesi.
Il rapporto Goldstone è arrivato e passato: nonostante il suo elencare una dopo l’altra le contravvenzioni alle legge internazionale, “crimini di guerra” israeliani e “possibili crimini contro l’umanità”, nonostante l’Unione Europea, le Nazioni Unite, la Croce Rossa, e tutte le più grosse associazioni per i diritti umani abbiano fatto una chiamata per una fine a un’assedio medievale e illegale, esso continua con la stessa violenza. L’11 novembre 2010 il capo dell’UNRWA John Ging ha dichiarato: “non ci sono stati cambiamenti concreti per la popolazione sul terreno per quanto riguarda la loro situazione, la loro dipendenza da aiuti, l’assenza di ogni risarcimento o ricostruzione, nessuna economia…le distensioni, come sono state descritte, non sono state nulla di più che una distensione politica nelle pressioni verso Israele ed Egitto”
Il 2 dicembre 22 organizzazioni internazionali, tra cui Amnesty, Oxfam, Save the Children, Christian Aid, e Medical Aid for Palestinian hanno prodotto il report “Dashed Hopes, Continuation of the Gaza Blockade (Speranze in polvere, la continuazione del blocco)”, chiamando per un’azione internazionale che forzi Israele ad abbandonare incondizionatamente il blocco, descrivendo come i palestinesi di Gaza sotto l’assedio israeliano continuino a vivere nelle stesse disastrose condizioni. Solo una settimana fa l’Human Rights Watch ha pubblicato un rapporto dettagliato “Separate end Unequal (separati e diseguali)” che denuncia gli atteggiamenti israeliani come pratiche di apartheid, facendo eco ad affermazioni simili da parte degli attivisti sudafricani anti-apartheid.
Noi palestinesi di Gaza vogliamo vivere in libertà e incontrare amici palestinesi o famiglie da Tulkarem, Gerusalemme o Nazaret, vogliamo avere il diritto di viaggiare e muoverci liberamente. Vogliamo vivere senza la paura di un’altra campagna di bombardamenti che lascia i nostri bambini morti e molti più feriti o con cancro proveniente dall’inquinamento da fosforo bianco israeliano ed armi chimiche. Vogliamo vivere senza essere umiliati ai check point israeliani o la vergogna di non poter provvedere alle nostre famiglie a causa della disoccupazione portata dal controllo economico e dall’assedio illegale. Chiediamo una fine del razzismo che è a fondamento di quest’oppressione.
Domandiamo: quando i Paesi del mondo si comporteranno secondo le fondamentali premesse che gli esseri umani debbano essere trattati in maniera equa, senza differenze di origine, etnia o colore – è così esagerato affermare che i bambini palestinesi abbiano gli stessi diritti di ogni altro essere umano? Sarete capaci un giorno di guardarvi indietro e dire che siete stati dalla parte giusta della storia o avrete supportato l’oppressore?
Noi, inoltre, chiamiamo la comunità internazionale ad assumersi le sue responsabilità e proteggere il popolo palestinese dalle feroci aggressioni di Israele, finire immediatamente l’assedio con un risarcimento completo della distruzione di vite ed infrastrutture di cui siamo stati afflitti da quest’esplicita pratica di punizione collettiva. Assolutamente nulla può giustificare pratiche internazionali feroci come l’accesso limitato all’acqua e all’elettricità a 1,5 milioni di persone. L’omertà internazionale nei confronti della guerra genocida che ha avuto luogo contro più di 1,5 milioni di persone rende palese la complicità in questi crimini.
Facciamo anche un’appello a tutti i gruppi di solidarietà palestinesi ed alle organizzazioni della società civile internazionale per esigere:
  • La fine dell’assedio che è stato imposto alla popolazione palestinese della West Bank e della striscia di Gaza come conseguenza dell’esercizio della loro scelta democratica.
  • La protezione delle vite civili e proprietà, come stipulato dalla legge umaitaria internazionale e dalla legge internazionale riguardo i diritti umani, come la quarta convenzione di Ginevra.-Il rilascio immediato di tutti i prigionieri politici
  • Che i rifugiati palestinesi nella striscia di Gaza siano immediatamente riforniti di supporto materiale e finanziario per affrontare le immense avversità che stanno vivendo
  • Fine dell’occupazione, apartheid ed altri crimini di guerra
  • Immediati risarcimenti e compensazioni per tutte le distruzioni portate avanti dalle forze di occupazione israeliane nella striscia di Gaza
  • Boicotta, disinvesti e sanziona, unisciti a molti sindacati in tutto il mondo, università, supermercati, artisti e scrittori che rifiutano di intrattenere l’apartheid di Israele. Parla della Palestina, per Gaza, e soprattutto AGISCI. Il tempo è adesso.
Gaza assediata, Palestina
27 dicembre 2010
List of signatories:
General Union for Public Services Workers
General Union for Health Services Workers
University Teachers’ Association
Palestinian Congregation for Lawyers
General Union for Petrochemical and Gas Workers
General Union for Agricultural Workers
Union of Women’s Work Committees
Union of Synergies—Women Unit
The One Democratic State Group
Arab Cultural Forum
Palestinian Students’ Campaign for the Academic Boycott of Israel
Association of Al-Quds Bank for Culture and Info
Palestine Sailing Federation
Palestinian Association for Fishing and Maritime
Palestinian Network of Non-Governmental Organizations
Palestinian Women Committees
Progressive Students’ Union
Medical Relief Society
The General Society for Rehabilitation
General Union of Palestinian Women
Afaq Jadeeda Cultural Centre for Women and Children
Deir Al-Balah Cultural Centre for Women and Children
Maghazi Cultural Centre for Children
Al-Sahel Centre for Women and Youth
Ghassan Kanfani Kindergartens
Rachel Corrie Centre, Rafah
Rafah Olympia City Sister
Al Awda Centre, Rafah
Al Awda Hospital, Jabaliya Camp
Ajyal Association, Gaza
General Union of Palestinian Syndicates
Al Karmel Centre, Nuseirat
Local Initiative, Beit Hanoun
Union of Health Work Committees
Red Crescent Society Gaza Strip
Beit Lahiya Cultural Centre
Al Awda Centre, Rafah


Fonte: Fuori le mura - Eleonora Pochi

La democrazia della repressione

Oramai il voler manifestare la propria opinione è diventato un fastidio da evitare, anche a costo di militarizzare città intere.
Sembrerebbe quasi si voglia iniettare nel paese un dose di tensione, d’allarmismo a mio avviso inutile e superfluo, segno evidente che l’Italia è un paese dalla memoria corta.
(Co)Protagonisti indiscussi della scena sono le forze dell’ordine, anch’esse colpite duramente dalla crisi e scese ripetutamente in piazza per ribadire che senza risorse non può esserci sicurezza e che “La sicurezza non può essere un costo per il governo, ma un investimento”.
“Nessuno si è preoccupato di interpellarci in merito alla predisposizione della Finanziaria – ha dichiarato Felice Romano, segretario generale Siulp – che nessuno poi ci indichi come i disfattisti del momento”.
Sembrerebbe paradossale rilevare che gli agenti di polizia siano scesi in piazza con le stesse motivazioni di fondo di studenti e lavoratori precari ma ciò nonostante si sia assistito a scene come quelle del 14 dicembre a Roma. Ci si rende purtroppo conto della insensatezza di quei gesti. Sembrerebbe quasi una sciocca guerra tra poveri voluta da qualcuno, tra società e forze dell’ordine che in nome del disagio si scannano mentre i lorsignori, arroccati nei palazzi, approvano riforme che porteranno alla fame un paese intero tranne loro.
“Tutto questo costringe le forze dell’ordine ad un’attività di supplenza al governo sempre più complessa e delicata” ha dichiarato il capo della Polizia Antonio Manganelli riflettendo sul 14 dicembre, aggiungendo “E’ un superlavoro richiesto a chi, tra l’altro, e’ pagato sempre meno”. Pur essendo pienamente d’accordo con le parole del Prefetto occorre precisare che molto spesso alcuni agenti si trasformano in criminali, abusando del loro potere in nome della legge, che automaticamente infrangono.
Gli scontri del 14 dicembre ne sono l’emblema (ormai tristemente note le immagini che girano in rete, di un manifestante preso a calci da più agenti di polizia). Da esse traspare non tanto la rabbia quanto una cattiveria che fa più paura dei tagli di governo. Al di là di qualsiasi pensiero ed opinione politica, la violenza è deprecabile da qualsiasi parte della barricata provenga, ma soprattutto se mossa da chi dovrebbe garantire ai cittadini l’ordine pubblico.
Abbiamo chiesto ad Alice Niffoi, presa a manganellate dalla polizia ed arrestata insieme ad altri 23 ragazzi il 14 dicembre, cosa le rimarrà delle 16 ore trascorse nel centro di identificazione di Tor Cervara “Sapevo di essere in stato d’arresto ma non sapevo di cosa ero accusata. Nonostante lo chiedessi in continuazione, sono riuscita ad incontrare il mio avvocato solo in aula. Un trattamento degradante, oltre che fuori da ogni regola! Per 14 ore non ci hanno dato la possibilità di mangiare né di bere e solo a due ragazzi è stato concesso d’andare in bagno. E’ stata un’esperienza molto dura, conserverò un ricordo orribile”.
L’indignazione di Alice, come di tanti altri, è forte, “il 14 dicembre eravamo in piazza: studenti, precari, migranti, movimenti per la difesa del territorio venuti da Chiano e dall’Aquila, lavoratori dello spettacolo e tanti altri per manifestare il nostro dissenso verso un Governo che ha adottato provvedimenti vergognosi, dalla legge finanziaria alla riforma dell’Università. Un Governo che in tutta risposta si è trincerato in una zona rossa, arrestando ed usando i manganelli delle forze dell’ordine contro chi ha provato ad avvicinarsi”.
Sarebbe opportuno invece che una società intera (forze dell’ordine comprese), accomunata dagli stessi problemi e dalle stesse motivazioni che spingono a scendere in piazza, manifestasse insieme contro i tagli imposti dal Governo. “Certo, sarebbe bello e sicuramente molto più efficace – commenta Alice, che avendo vissuto la brutta esperienza in prima persona, aggiunge – purtroppo sono estremamente scettica al riguardo. Diversi agenti ci hanno detto che non dovevamo lamentarci per essere stati arrestati e che avremmo fatto meglio a restarcene a casa”.
Non bisognerebbe permettere che per quattro esaltati, dei quali alcuni sembrerebbero infiltrati che provocano tafferugli, migliaia di lavoratori, insegnanti e ragazzi vengano bollati come criminali. E’ inconcepibile e forse fin troppo facile per chi mira a sminuire la realtà dei fatti, ossia un dissenso dilagante, di tutte le categorie, verso le misure politiche intraprese.
Alice, qualche giorno dopo l’arresto, ha dichiarato “Ho capito che per lavorare me ne devo andare”, tanti giovani purtroppo sono arrivati alla sua stessa conclusione “L’Italia investe molto meno degli altri Stati nella ricerca e nella cultura, è un dato di fatto, di conseguenza la vita è resa sempre più difficile, soprattutto per i “lavoratori della conoscenza” – continua Alice – Paradossalmente, più si ha un titolo di studio alto e ci si specializza, più è difficile trovare un’occupazione che tenga conto delle nostre capacità e conoscenze… Il Ministro Brunetta, come soluzione, ci consiglia di ripiegare sui lavori umili! Non sono convinta di trovare il paradiso o di riuscire a realizzare tutti i miei desideri fuori da questo paese, ma almeno mi riscontrerei con reali possibilità per provare a farlo, qui invece si parte già scoraggiati.”
L’Italia dimostra ogni giorno di più che non è in grado di tenersi stretta la sua più scarsa e preziosa risorsa, i giovani. soprattutto verrebbe da pensare se la democrazia della repressione persisterà fino al giorno in cui il dissenso dilagherà a macchia d’olio e tutto il paese verrà preso a manganellate.