26/04/11

Arrigoni, il prezzo di rimanere umani

L'assassinio del giovane cooperante impegnato nella striscia di Gaza ha scosso il mondo intero. Ancora ci si chiede come è possibile che sia successo. Ucciso brutalmente, proprio lui che del suo motto "Restiamo Umani" ne aveva fatto uno stile di vita

Vittorio Arrigoni, trentacinquenne volontario per l'International Solidarity Movement, era da anni che documentava l'orrore della vita nella Striscia di Gaza. Un eroe sconosciuto, un lodevole giornalista di guerra, un difensore dei diritti umani, una formichina laboriosa, un pacifista, un'attivista modello...si potrebbe definirlo in molti modi ma crediamo che il più appropriato sia semplicemente un 'vero essere umano'.
Prezioso testimone italiano delle atrocità e le ingiustizie perpetrate nel territorio gazese, ha permesso all'Italia, e non solo, di sapere molto; in particolare nei giorni dell'operazione Piombo Fuso, quando Israele bombardò con il fosforo bianco la Striscia, definita tuttora da confini che trasudano sangue e nient'altro.
Giovedì scorso s'apprende la notizia del suo sequestro. Nel primo pomeriggio del 14 aprile 2011 Vittorio viene rapito nei pressi del campo di Jerbala; inizialmente non si capisce né da chi è compiuto né tanto meno il motivo del gesto. I rapitori lanciano un ultimatum rivolto al governo palestinese: “La liberazione di tutti i detenuti salafiti che si trovano nelle carceri di Hamas nella striscia di Gaza”. In particolare richiedono la scarcerazione dello sceicco Husham al-Suaidani. Tutto entro 30 ore, altrimenti Vittorio, che “entra nella nostra casa portandoci corruzione morale”, dichiarano i sequestratori, morirà. L'Italia è impietrita.

Eppure, l'assassinio di Vittorio non sembrerebbe proprio un fulmine a ciel sereno. Qualcosa s'avvertiva già da mesi: “Vittorio Arrigoni è indicato come il bersaglio numero uno da uccidere. Avete capito bene, da uccidere. Di lui e di altri cooperanti, Jenny Linnel (bersaglio numero due) Ewa Jasiewicz, bersaglio numero 3, e una lista di altre persone, sono pubblicate foto e dettagli e segni particolari per poterli identificare e viene fornito perfino un numero di telefono negli Stati Uniti per poter segnalare all’esercito israeliano l’eventuale avvistamento e come poterli eliminare. La Polizia postale e la Farnesina devono immediatamente attivarsi presso le autorità estere competenti perché chiunque si celi dietro il sito venga identificato e il sito oscurato. Ad una ricerca sul database del servizio Whois per il dominio in questione non è possibile ottenere alcuna informazione rilevante per identificare gli istigatori all’omicidio”questo è quanto riportato dal giornalista Gennaro Carotenuto sul blog 'Giornalismo Partecipativo' in data 12 Gennaio 2011.

Purtroppo l'ultimatum scade giusto qualche ora dopo l'annuncio e nella notte la polizia palestinese trova il corpo del giovane cooperante, morto ammazzato. Strangolato.
Il giorno dopo l'omicidio, arriva una dichiarazione da parte del gruppo ultraintegralista dei salafiti, corrente radicale islamica che lotta per l'eliminazione di influssi occidentali dall'islam, nella quale viene riconosciuta la responsabilità del sequestro, condannando però l'omicidio: “Si tratta di una cellula impazzita, che ha preso un'iniziativa incomprensibile”. Alcuni militanti della 'cellula impazzita' sono stati trovati dalla polizia di Hamas ed hanno confessato: “Siamo stati noi”. Proseguono in queste ore le indagini.
Quel che è certo, è che Hamas, il movimento islamico che controlla il territorio, non è riuscito a mediare per la liberazione. Neanche l'Italia ce l'ha fatta. Occorre capire se non hanno voluto riuscirci. Occorre capire se davvero Vittorio è stato strangolato da quattro nefandi integralisti che hanno agito indipendentemente, anche all'insaputa dei loro 'superiori', e che non hanno nemmeno rispettato l'ultimatum da loro stessi lanciato. Occorre capire perché Vittorio sia morto senza che nessuno sia riuscito ad avviare una mediazione. Erano tutti impietriti?
Stando a quanto riportato dall'agenzia stampa Infopal, fonti ufficiali del governo gazese hanno dichiarato che “si tratterebbe di una realtà creata dall'ingelligence israeliana per fomentare conflitti interni a Gaza, che si avvale di 'manovalanza' locale, indottrinata e convinta di rappresentare il network di Bin Laden”. Dichiara inoltre un corrispondente locale Infopal: “Purtroppo, noi temiamo che dietro ci sia Israele, che vuole spaventare gli attivisti della Freedom Flotilla2, in partenza il mese prossimo. C'è molta rabbia tra la gente di Gaza: tutti conoscevano ed apprezzavano Vittorio”. La popolazione gazese è indignata, amareggiata. Moltissime le manifestazioni nella striscia in memoria del giovane, considerato un fratello, uno di famiglia per molti palestinesi.

In tutto ciò la Farnesina, incurante delle avvertenze dei mesi precedenti, ha espresso in una nota “forte sgomento per il barbaro assassinio” e “condanna nei termini più fermi il vile e irragionevole gesto di violenza da parte di estremisti indifferenti al valore della vita umana compiuto ai danni di una persona innocente che si trovava da tempo in quella zona per seguire da vicino e raccontare con forte impegno personale la situazione dei palestinesi della striscia di Gaza”. Come mai, alla luce della denuncia avanzata tempo fa, non è stato fatto nulla per salvaguardare l'incolumità di Vittorio?

Dura la dichiarazione dell'organizzazione della quale Arrigoni faceva parte, l'International Solidarity Movement: “Ci sono responsabilità precise, politiche e morali, dello Stato di Israele, con la complicità del governo italiano che è tra i suoi più fedeli e cinici alleati”.

Quest'orribile tragedia, fa molto riflettere. Fa capire che il 'Restiamo umani', pronunciato molto spesso da Vittorio, talvolta è sconveniente, troppo scomodo, utopistico per alcuni. 'Restare umani' è un inutile dettaglio nel mondo di oggi, nel quale ognuno pensa al suo orticello. 'Restare umani', purtroppo, è talmente difficile che talvolta risulta quasi impossibile, benché dovrebbe essere un'innata propensione per un uomo. E' un'ardua scelta di vita, che in casi come quello di Vittorio, può rivelarsi altamente pericolosa, portando addirittura alla morte. Il 'Restare umani' fa paura, ma d'altronde, se non si è 'umani' prima di essere qualsiasi altra cosa, non si è nessuno.

Eleonora Pochi

19/04/11

Precariato, la tratta degli schiavi moderni

Nella giornata di sabato scorso, la mobilitazione dei precari ha attraversato l'Italia intera. 'Il nostro tempo è adesso, la vita non aspetta' è il nome del comitato che ha promosso l'iniziativa. Migliaia in piazza per rendere manifesta la loro rabbia, sognano il futuro ma il presente preclude loro di guardare lontano

Nel paese dei 'super ricchi o super poveri' la classe media rischia l'estinzione, assottigliando sempre più il vertice della piramide sociale: solo un'1% delle famiglie possiede il 13% della ricchezza italiana. Una distribuzione del reddito strabica e distorta è la causa di questo enorme divario, che non accenna a diminuire, tra classi sociali. Alla base della piramide, tra gli altri, i lavoratori 'atipici' raggiungono quasi i quattro milioni. Ad ognuno di loro viene negata la possibilità di costruirsi una famiglia, comprare una casa, fare progetti a lungo termine e sperare in un avvenire che permetta la serenità. 'Quelli senza futuro' si sono ritrovati in piazza per rivendicare i diritti loro negati, contro un mercato del lavoro avvilente, in grado di garantire un futuro effimero quanto una bolla di sapone.
Secondo i dati diffusi dai maggiori sindacati, solo nel Lazio risiedono oltre 420mila precari: “Dal 2009 i lavoratori atipici, sono aumentati ad un ritmo impressionante, circa 1.200 al mese” ha dichiarato Claudio Di Berardino, segretario generale per Roma e Lazio della Cgil.
C'è bisogno di un pacchetto minimo di misure in grado di garantire ai lavoratori un percorso trasparente, meritocratico, dignitoso e soprattutto stabile. Tra stage non retribuiti, tirocini, fantomatici contratti a progetto e lavoro nero, giovani e meno giovani sono costretti nell'incertezza dell'eterno precario, troppo pochi soldi per arrivare alla fine del mese ed una stabilità contrattuale inesistente. Sono proprio loro, quei 'bamboccioni' che qualcuno dichiarava estremamente oziosi e lenti nell'emanciparsi.
“Stiamo assistendo ad una degenerazione del concetto di flessibilità – ha dichiarato Antonio Di Pietro, leader dell'Italia Dei Valori, confermando il sostegno alla giornata di mobilitazione del 9 aprile -, si sta andando verso il feudalesimo.  Questo non è più sintomo di uno Stato moderno, ma di un nuovo patronato per il quale si sfrutta il mercato degli schiavi moderni”.
Di tutt'altra opinione il Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, secondo il quale i lavoratori sarebbero adeguatamente tutelati e sostenuti dallo Stato: “Oggi non c'è nessuno che perdendo il lavoro non venga aiutato dallo Stato. C'è la cassa integrazione per i precari, così come per i lavoratori a progetto. Abbiamo garantito la pace sociale”.

Milioni di italiani, quelli 'super poveri', non conoscono la 'pace sociale'. Vivono un inferno completamente ignorato dallo Stato. Così, i precari del comitato 'Il nostro tempo è adesso, la vita non aspetta', promotore della mobilitazione di sabato scorso, hanno risposto alle dichiarazioni inadeguate del Premier rivolte ad una platea di neolaureati: “Davvero pensa il Presidente del Consiglio che il Milan e suoi successi personali siano da prendere ad esempio per i giovani italiani? Davvero pensa che il 30% di disoccupazione giovanile, i 2 milioni di giovani che non studiano, non lavorano e non si formano, l'esercito di lavoratori precari rimasti senza lavoro e senza reddito con la crisi economica, possano avere 'il sole in tasca' ?” . In tutto questo, per milioni di lavoratori c'è il rischio di rimanere non solo senza lavoro, ma anche senza pensione, dopo aver versato regolarmente i contributi previsti dalla legge. Questa può essere definita 'pace sociale'?

Eleonora Pochi
Fonte: Parolibero

11/04/11

Immigrazione: E' emergenza umanitaria ma il Governo non si muove

Mentre arrivano migliaia di immigrati dall'altra sponda del Mediterraneo e l'Italia si spacca in due sull'accoglienza di profughi e fuggiaschi, il premier promette il recupero di Lampedusa con casinò e campi da golf


Mercoledì 30 marzo Lampedusa s'è trasformata per qualche ora in “Isola dei Famosi”, teatro di una messa in scena simile a quella presentata ai cittadini aquilani, piegati dal terremoto.
“Il governo presenterà al prossimo consiglio dei ministri la candidatura di Lampedusa al Nobel della pace”. Così ha esordito il Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, cercando di accaparrarsi la fiducia degli isolani, protagonisti di un'emergenza umanitaria senza precedenti, che da mesi sta investendo il nostro paese. Il discorso del Premier è stato caratterizzato da molteplici impegni, tra i quali, il più maestoso, di sgomberare l'isola dagli immigrati entro qualche ora: “Sono già iniziate le operazioni di imbarco dei migranti. In massimo 60 ore, Lampedusa sarà abitata soltanto dai lampedusani – rassicura Berlusconi e segue rivolgendosi alla folla – Come posso darvi la certezza che tutti i piani che annuncerò saranno trasformati in realizzazioni concrete? Mi sono detto: devo diventare Lampedusano anch'io. Mi sono attaccato ad internet ed ho scovato una casa bellissima di fronte la costa francese e l'ho comprata”. Numerose le promesse berlusconiane: un piano di pulizia dell'isola, un processo promozionale per risollevare il settore turistico, un “piano colore” per tinteggiare ed abbellire le strade in stile Portofino, casinò e campi da golf.Si lucida per bene la mela benché sia chiaramente marcia, tanto per confermare l'efficacia del “fingere di non vedere”.
Così Amnesty International, che ha evitato discorsi luccicanti, limitandosi ad analizzare il problema reale: “Il governo italiano ha creato l'emergenza umanitaria non provvedendo immediatamente ad organizzare accoglienza, smistamento ed identificazione degli immigrati”. Un'emergenza annunciata già dallo scorso gennaio, quando da Lampedusa partiva l'ignorato Mayday verso palazzo Chigi. La triste verità è che la soluzione all'emergenza umanitaria, almeno per ora, non c'è. Il Nord Italia mette le mani avanti rifiutandosi di accogliere tunisini, disponibile nel caso, giusto per accogliere qualche profugo. E' il caos. Le recenti dimissioni di Alfredo Mantovano(PdL) sono la conferma che nel Mezzogiorno si sta scaricando tutto il peso dell'emergenza: “Trovo inaccettabile il 'fuori dalle balle' di Bossi che equivale a 'tutti gli immigrati al sud' - ha dichiarato a Libero l'ex sottosegretario all'Interno -, anche perché da vent’anni il carico dei CIE è supportato da tre regioni: Sicilia, Calabria e Puglia. Ora è tutto concentrato in Sicilia e in Puglia. A Manduria. Che è diventata un’altra Lampedusa e ha già accolto tremila persone”.
In tutto questo, migliaia di africani stanno vivendo giornate allucinanti. Scappati dalle bombe oppure dalla povertà, si ritrovano in condizioni disumane. Molti fuggono verso la Francia per raggiungere qualche familiare, ma appena passano il confine a Ventimiglia vengono respinti dalla Gendarmerie francese. Abel Majid, giovane libico che ha cercato di raggiungere il padre in Francia, racconta a L'Espresso: “I consolati francesi non ti concedono il visto nemmeno se vuoi andare a trovare tuo padre. Se non hai un conto corrente pieno di soldi, la Francia non ti fa entrare. Mio padre vive e lavora in Francia da venti anni, mia mamma è morta”. Mentre da Parigi viene espressa piena solidarietà a Roma, persiste la netta chiusura verso l'ingresso di immigrati, che l'Unione Europea ha ammonito. Il paese governato da Francois Fillon, che potrebbe essere definito come il maggior promotore di questa guerra, non vuole però accogliere i “topi di fogna” (come definì Gheddafi i manifestanti) che scappano dalle bombe francesi. Il risiko infinito degli immigrati continua, tra CIE che assomigliano a lager a cielo aperto, i Cara di Crotone e Bari, villaggi della disperazione come quello previsto a Mineo, fughe di massa e respingimenti mentre il Sud Italia rischia di trasformarsi in tante piccole “Lampedusa”. Cosa farà il governo, prometterà campi da golf e Nobel per la pace ad ogni cittadina stracolma di fuggiaschi?

Eleonora Pochi
Fonte: Parolibero

01/04/11

L'Europa assolve l'Italia per l'omicidio Giuliani

La magistratura europea ha giudicato il nostro Paese non responsabile sulla questione dell'omicidio del ventitreenne, nei giorni del summit mondiale del 2001: “Non c'è stata violazione per uso eccessivo della forza”. Ripetuta condanna per l'inchiesta, giudicata troppo superficiale

Secondo il tribunale di Strasburgo, il carabiniere Mario Placanica avrebbe “agito nell'onesta convinzione che la propria vita e quella dei suoi colleghi si trovassero in pericolo. Il ricorso a un mezzo di difesa che poteva causare la morte, agli spari, era giustificato”. La famiglia di Carlo fece appello alla Corte Europea nel 2003, dopo la sentenza italiana che scagionava il carabiniere, denunciando l'uso eccessivo della forza da parte delle forze dell'ordine.
Allo stesso tempo, i magistrati europei hanno ribadito la condanna all'Italia per la mancanza di un'inchiesta approfondita sul decesso Giuliani.
Eppure, da quello che è possibile apprendere di quel tragico pomeriggio genovese, emerge che l'uso dell'arma non era l'unico modo per difendersi.
Giuliano Giuliani, padre di Carlo, ha commentato così, all'Adnkronos, la decisione della Corte: “Abbiamo ancora uno strumento che è la causa civile, sperando che nessuno voglia pensare che intendiamo rifarci sul cosiddetto povero carabiniere”. Sulla condanna da Strasburgo per la conduzione italiana dell'inchiesta, Giuliani tiene a precisare: “In quell'occasione porteremo tutta la documentazione che dimostrerà come le cose che sono state dette intorno all'uccisione di Carlo siano delle vere e proprie menzogne, delle trascuratezze, delle cose non onorevoli per il Paese”.

E' il 20 luglio 2001 a Piazza Alimonda, blindatissima malgrado non rientri nella 'zona rossa' indetta per le quattro giornate del G8. E' dalla mattina che si registrano feroci cariche della polizia contro manifestanti pacifici: chi non riesce a scappare, viene preso e letteralmente massacrato, senza motivo. Durante una delle cariche, un gruppo di dimostranti reagisce, due jeep dei carabinieri si muovono per tentare di bloccare l'accesso oltre la piazza, ma nello spostamento uno dei due defender urta un cassonetto e si ferma. In seguito verrà dichiarato dagli agenti che la jeep era incastrata in uno spazio molto stretto, ma in realtà di spazio ce n'era in abbondanza e sarebbe bastato fare una retromarcia per allontanarsi, come è stata poi fatto sul corpo di Carlo.
Il veicolo viene contornato da una decina di manifestanti, ma non accenna ad andarsene. Carlo si china per raccogliere un estintore vuoto mentre Placanica toglie la sicura alla sua beretta 92 Sb semiautomatica. Dai 1.300 fotogrammi girati in piazza Alimonda in quegli istanti, risulta che Giuliani si trovava a 3 metri e 0,6 centimetri dal defender mentre sollevava le braccia per lanciare l'estintore, a differenza di quanto appare dall'oramai diffusissima foto Reuters nella quale la distanza sembra molto più limitata. Placanica tende il braccio ad altezza d'uomo e spara. Sono le 17.27 quando Carlo viene colpito allo zigomo sinistro da un proiettile che gli fracassa la nuca, poi cade a terra. L'autista mette in moto il veicolo, facendo prima retromarcia e poi procedendo in avanti, passando per due volte sul corpo di Carlo, ancora vivo. Arrivano altri agenti di polizia, alcuni dei quali prendono il ragazzo a calci in testa. Qualche minuto dopo Carlo finirà la sua agonia. I manifestanti che tentano di soccorrerlo vengono allontanati dalle forze dell'ordine che formano un cordone attorno al cadavere mentre il vicequestore della Polizia tenta di recitare una disgustosa farsa, ignaro delle immagini che avevano ripreso l'agente sparare: “Sei stato tu ad ucciderlo, con una pietra!” urla correndo dietro un manifestante.


Eleonora Pochi
Fonte: Parolibero