30/09/10

Lezioni di Clandestinità

L’Italia di quelli che manifestano indignazione...

In Piazza Montecitorio, il 1° marzo, si è tenuta una “Lezione di clandestinità” alla quale hanno preso parte studenti italiani e stranieri. Hanno ascoltato seduti in silenzio qualcosa che non si apprende tra i banchi: la lezione di chi lotta ogni giorno per la difesa dei propri diritti.

“Quanti esami ti mancano alla laurea?” - Quattro - “Ancora? Sei fuoricorso!” e come direbbe qualcuno in merito, “Sono bamboccioni che si adagiano sugli allori”. Già. In questo paese se sei fuoricorso non ti spetta alcuna borsa di studio, aumentano le tasse e diminuiscono i crediti riconosciuti per la formulazione del voto di laurea.
Si può anche pensare che sia giusto premiare i più studiosi e meritevoli, chi riesce a laurearsi nei tempi previsti.
L’anomalia italiana
Ma in realtà, qui non si sta parlando di meritocrazia, bensì di anomalia. Fuoricorso è chi lavora tutto il giorno, chi non si può ammalare mai tra lavoretti sottopagati e tirocini non retribuiti, chi passa notti intere sui libri, chi salta il pranzo perché altrimenti non arriva in tempo alla lezione, chi studia in treno e, nonostante tutto questo, sostiene undici esami l’anno. Su un campione di duecento studenti universitari, più della metà sono fuoricorso. A Lor Signori sfugge un concetto fondamentale: non si tratta di secchioni Vs. fannulloni, ma semplicemente di ragazzi con differenti situazioni socio-economiche alle spalle. Insomma, oltre i fuoricorso descritti prima, c’è chi può permettersi il lusso di non lavorare perché alle rate dell’università e all’affitto ci pensa papino. È libero quindi di passare la giornata tra lezioni, chiacchiere, pranzo con gli amici, biblioteca e passeggiata con aperitivo prima di tornare a casa. Strano, ma alla luce di questo viene quasi da pensare che chi si applichi di più siano i fuoricorso. D’altra parte, in Italia, le parti disagiate sono destinate alla cattiva sorte. Nel frattempo i baroni pullulano indisturbati nelle Università, così che cattedre e poltrone scivolano tra parenti, amici e conoscenti. Ma l’Italietta da maccheroni e mandolino riserva altre mille sorprese. Ad esempio, perché una persona che studia a Brescia sente la necessità di sostenere l’esame di abilitazione all’albo degli avvocati a Reggio Calabria? Considerando che furono ammessi nel 2001 il 93% dei partecipanti alla prova orale, la risposta la riesco a dare senza enormi sforzi riflessivi.
“Bamboccioni”
Nel frattempo i ragazzi che realmente si impegnano per superare gli esami sono perennemente denigrati da Lor Signori: “Basta bamboccioni! Tutti fuori di casa a 18 anni” - recita il ministro Brunetta. In pratica, come se i giovani italiani fossero una massa di tonti e mammoni. In Italia sono milioni i bamboccioni che desiderano arduamente una propria indipendenza. Se solo avessero un lavoro sicuro, una qualche forma di assistenza, una possibilità reale di riuscire a pagare un affitto o un mutuo, allora avrebbero un “senso” le parole di Brunetta. Sarebbe opportuno, quindi, che il ministro sapesse che a noi giovani costretti nelle mura domestiche, non piace rimanere confinati a casa dei genitori, ma non abbiamo altra scelta in questo paese. Era dagli anni '60/70 che la gente non scendeva così massicciamente in piazza per manifestare il proprio dissenso. Ricordo, in particolar modo, il grande sciopero del 30 ottobre 2008: cinque sigle sindacali della scuola decisero di promuovere una forte mobilitazione di tutto il personale per uno sciopero generale nazionale al quale aderirono quasi la totalità delle organizzazioni studentesche, universitari, genitori, italiani all’estero, associazioni e coordinamenti. Aderirono circa 670.000 lavoratori della scuola (2 docenti su 3) e il 90% delle scuole si fermò: in un paese normale un ministro dovrebbe interrogarsi sugli errori commessi, davanti un così diffuso dissenso. E quando milioni di studenti aderiscono allo sciopero, forse non saranno tutti “male informati”, come dice la ministra.
I manganelli contro gli studenti
Era il 18 marzo del 2009, circa un anno fa, quando lo Stato soffocò la libertà di sciopero e d’espressione di centinaia di studenti a suon di manganelli. Era stato indetto sciopero dalla Cgil, così studenti universitari, ricercatori e lavoratori precari degli atenei di tutta Italia, da Torino a Palermo decisero di scendere in piazza. Mi trovavo a "La Sapienza" di Roma, dove in più di trecento eravamo riuniti a Piazzale Aldo Moro, pronti a sfilare in corteo fino al ministero dell’Economia per manifestare il nostro dissenso a fianco della Cgil contro i tagli di otto miliardi di euro alla scuola pubblica e all’istruzione voluti dal governo con la legge 133. Un infinito cordone di polizia antisommossa faceva da cornice al piazzale, non c’era permesso continuare a sfilare in corteo secondo le disposizioni, concordate pochi giorni prima, del protocollo di restrizione dei percorsi dei cortei a Roma. Si presero quindi la libertà di caricare ragazzi e ragazze molto duramente per costringerli a rientrare nella città universitaria. Molti studenti hanno riportato ferite alle spalle, alle braccia e contusioni. L’indignazione dilagò, italiani o stranieri non c’era differenza “Vergogna!” - Gridavamo tutti. “Sono dei guerriglieri anzi, non hanno quella dignità, sono dei ragazzotti!”.Studenti etichettati come bamboccioni, guerriglieri, ragazzotti e ancora “estremisti di sinistra” dal sindaco Alemanno, “gente proveniente dai centri sociali” dalla Gelmini e “facinorosi” da Berlusconi. Ce ne sarebbero molte altre, ma credo bastino queste…
I tagli della Gelmini
Tra manifestazioni, scioperi, scontri e dichiarazioni di sdegno, la Gelmini porta avanti il suo operato. A causa della riforma, nel 2011 i tagli avranno creato 131.900 nuovi disoccupati, il 15,66% degli insegnanti italiani, a fronte di un aumento complessivo degli alunni, pari a 37.441 nel 2009. L’unione degli Studenti ha dichiarato in merito: “Ciò comporterà l’eliminazione di materie fondamentali in molti indirizzi, quali la storia dell’arte, il diritto, la geografia, la chimica, la biologia; riduzione delle ore a disposizione di materie utili non solo all’apprendimento di conoscenze umanistiche e letterarie, ma anche alla capacità di elaborazione critica. Una scuola che viene fortemente indebolita nella sua missione fondamentale e cioè garantire a tutti, indipendentemente dalle condizioni di partenza, un reale accesso alla conoscenza”. D’altronde un popolo d’ignoranti si strumentalizza più facilmente. Gli Atenei si troveranno costretti ad aumentare le tasse e ridurre l’offerta formativa a fronte del taglio di 1,5 miliardi al Fondo di Finanziamento Ordinario per le università previsto per i prossimi anni. La riduzione del Turn Over (limitato ad un 20%), inoltre provocherà la cosiddetta “fuga dei cervelli” per generazioni di studiosi scientifici, dottorandi, aspiranti ricercatori, che intravedono nel loro paese solo una lugubre precarietà. In proposito, una recente ricerca dell’Ocse, “A family Affair”, indica l’Italia come ultimo paese europeo per mobilità sociale. Nel nostro paese il futuro di un giovane è legato alle condizioni sociali dei genitori: se il padre è un dottore e ha un buon salario, nel 50% dei casi il figlio vivrà la medesima condizione; se invece il padre è un diplomato ed ha un salario basso, il figlio difficilmente conseguirà una laurea che gli aprirà le porte dell’emancipazione sociale. L’Italia non si muove. Anzi sì, ma a retromarcia… Anche per la scuola primaria non c’è stato scampo. Mi chiedo se in un’era dove i bambini usano internet, conoscono più lingue, vivono quotidianamente a contatto con diverse culture, sia adeguato ritornare al maestro unico, che conosce poco di tutto e perciò non insegna nulla.
Gli alunni stranieri
Ma soprattutto sarebbe più interessante capire il vero senso delle “classi-ponte” proposte dalla mozione dell’On. Cota (Lega Nord): “L’elevata presenza di alunni stranieri determina oggettive difficoltà di insegnamento e apprendimento ed una penalizzante riduzione dell’offerta didattica”. Si sente l’odore insolente del razzismo e dell’apartheid in queste parole, oltre che essere anticostituzionali. Morale della favola, per ingraziarsi la Lega, il ministro Gelmini ha annunciato che dal prossimo settembre ci sarà un tetto pari al 30% di alunni stranieri per classe. Limite di iscritti alle prime classi di elementari, medie e superiori. È il punto saliente della circolare ministeriale n. 2/2010 dell’8 gennaio che il ministero dell’Istruzione ha inviato a tutte le scuole italiane, contenente “Indicazioni e raccomandazioni per l’integrazione di alunni con cittadinanza non italiana”. Più che integrazione direi “work in progress” per l’innalzamento di muri razziali. Nel frattempo, gli stranieri iscritti alle nostre università sono circa diecimila. Qualcuno direbbe: “Strano, tra il fare i delinquenti e rubare il lavoro agli italiani, trovano anche il tempo di studiare?”. Nella sola università "La Sapienza" gli iscritti stranieri all’a.a. 2008/2009 sono stati 5.852, di cui gran parte albanesi, rumeni e cinesi. Ebbene sì. Acculturato e pensante, ecco il prototipo del “clandestino” che neanche sfiora i teleschermi, a cui non viene data voce. Sarà forse perché fa più paura del delinquente?
Una lezione di clandestinità
È il 1° marzo 2010. Quasi 5 milioni di immigrati che vivono in Italia scendono in piazza accompagnati da molti italiani. La “rivoluzione in giallo” (dal colore ufficiale della giornata) è arrivata dalla Francia e rimbalzata in Italia. Cinquantamila le adesioni su Facebook, sessanta comitati locali, tante le organizzazioni coinvolte: Amnesty, Arci, Acli, Solidarietà e Cooperazione – Cipsi, Legambiente, Emergency, Amref, Cobas, Fiom, Unione degli Studenti. Per la prima volta immigrati e italiani insieme per dire “NO” al razzismo e alla discriminazione dei più deboli. In Piazza Montecitorio si è tenuta una “Lezione di clandestinità” alla quale hanno preso parte studenti italiani e stranieri. Hanno ascoltato seduti in silenzio qualcosa che non si apprende tra i banchi: la lezione di chi lotta ogni giorno per la difesa dei propri diritti, continuamente calpestati, storie di esseri umani che fuggono dalla guerra, di chi raggiunge l’Italia con la speranza di una vita dignitosa. Sono intervenuti scrittori migranti, lavoratori di Rosarno, afgani richiedenti asilo e molti altri. Anche alcuni docenti universitari hanno aderito all’iniziativa, diffondendo tra gli alunni il caso di Rosarno e rendendo loro noto il comunicato presentato dall’assemblea dei lavoratori di Rosarno a Roma: “I mandarini e le olive non piovono dal cielo”.


Fonte: Solidarietà Internazionale - Eleonora P.

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