02/09/11

Settembre decisivo per la Palestina

Appuntamenti fondamentali per i territori palestinesi occupati, processo Arrigoni e proposta all’Onu per il riconoscimento dello Stato palestinese

Due date: 8 e 20 settembre. La prima dovrebbe essere, secondo indiscrezioni, il giorno dell’apertura della prima udienza del processo a carico dei presunti assassini di Vittorio Arrigoni, morto lo scorso 15 aprile.
La seconda rappresenta la data del prossimo raduno dell’Onu, in occasione del quale Abu Mazen, presidente dell’Autorità palestinese, dovrebbe presentare la richiesta ufficiale di riconoscimento dello Stato palestinese, quindi l’adesione alle Nazioni Unite. Quale sarà il responso tratto dalle due giornate è un mistero, l’unica certezza è che, in particolare negli ultimi mesi, l’avvicendarsi di avvenimenti contrastanti ha creato confusione in entrambe le questioni. In riguardo ad Arrigoni, un gruppo di giovani salafiti del gruppo “Tawhid wal Jihad” ha rivendicato praticamente da subito la titolarità del gesto. Dopo pochi giorni, la cellula viene sgominata dai miliziani di Hamas, provocando la morte di due salafiti coinvolti nell’agguato all’italiano. Dal 15 giugno l’inchiesta aperta sul caso dalla Procura di Gaza è stata consegnata nelle mani dei giudici militari che hanno rinviato a giudizio due palestinesi che sembrerebbero coinvolti nell’assassinio del cooperante. Ai legali della famiglia Arrigoni è stato finora negato l’accesso alle indagini. Il governo Hamas non ha permesso alla magistratura gazese di consegnare il fascicolo dell’inchiesta agli avvocati italiani a causa di un’incomprensione riscontrata nella presentazione degli incartamenti necessari all’accesso ai dati.

Altro momento storico per l’intera Palestina è il prossimo 20 settembre. L’ostacolo più evidente al riconoscimento è rappresentato dagli Stati Uniti. Per l’ammissione di nuovi Paesi all’Onu è necessaria la maggioranza di due terzi all’Assamblea Generale e un voto favorevole, che gli USA hanno già annunciato di bloccare con il veto, al Consiglio di sicurezza. Posto che la Palestina è governata da due fazioni, Fatah in Cisgiordania e Hamas nella Striscia di Gaza, la recente intesa raggiunta tra le parti non è sufficiente alla comune creazione di un governo unitario. Hamas continua a giocare al gatto col topo con Israele, insistendo con la violenza contro il popolo israeliano. Non basta quella perpetuata da decenni da Israele nei confronti dei palestinesi. Gli abitanti della Striscia sono un popolo sequestrato alla propria terra, alla libertà, alla democrazia, segregato in una striscia di terreno, separato dalle armi israeliane dal resto dei propri compaesani, costretto all’isolamento come il resto dei palestinesi. La Cisgiordania è l’unica alla quale interessano realmente le sorti della Striscia di Gaza, giacché c’è la sua gente lì. Dal 1967 le forze israeliane hanno occupato, in piena violazione di trattati internazionali e diritti umani, entrambi i territori palestinesi, esercitando, sotto gli occhi del mondo, una scandalosa e violenta segregazione razziale. Nonostante l’oppressione degli occupanti, la Cisgiordania è riuscita a costruire una amministrazione pubblica ed un’economia discrete. Abu Mazen ha incontrato il console generale americano a Gerusalemme per chiedere agli Stati Uniti di non bloccare il processo di riconoscimento. Mentre già 122 Paesi al mondo appoggiano la creazione dello Stato palestinese e l’adesione all’Onu, Italia e Germania, insieme ad Usa ed altri, si oppongono a gran voce. 150 personaggi politici italiani, hanno addirittura sottoscritto una petizione, promossa dall’Associazione parlamentari di amicizia Italia-Israele, contro il riconoscimento della Palestina.
Il parlamento israeliano intanto continua ad elaborare leggi razziste. Dopo il nuovo piano di colonizzazione è la volta di contrastare con la legge l’uso e la diffusione della lingua araba. Inoltre è in atto una campagna altamente discriminatoria che raccomanda, attraverso dialogatori dislocati sulle spiagge, alle ragazze ebree di non frequentare coetanei arabi. Nonostante questo, ma anche tanto altro, l’Italia continua ad esprimere sostegno e collaborazione verso il governo Netanyahu, addirittura adoperandosi con una petizione in suo aiuto. Non resta altro che aspettare il fatidico 20 settembre.


Eleonora Pochi

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