07/11/11

Il SIAM ai musicisti indipendenti: “Aprite gli occhi”

Per i lavoratori del mercato musicale non vita facile, specialmente in tempo di crisi. Parla Indiana Raffaelli, dal Sindacato Italiano Artisti della Musica


Svolgono un lavoro come un altro, i musicisti, ma sono da sempre stati considerati come persone che nel perseguire la loro passione, vogliono ricavarci pure profitto. In realtà, non la si può così generalizzare. Spinti, più o meno volontariamente, al margine del mercato lavorativo a causa di un’intrinseca discriminazione da parte dei più disparati attori sociali, colpevoli di scegliere di fare il lavoro che più gli piace e per il quale si dimostra maggior attitudine e, proprio per questo, vittime di chi specula sulla loro motivazione sottopagandoli o offrendo loro inammissibili accordi lavorativi. Non hanno la possibilità di essere tutelati da un contratto di categoria, ne tanto meno da tariffari.

La quasi totalità dei musicisti indipendenti non riesce a sfamarsi di musica, ma è costretta a dover associare al lavoro principale, ossia che assorbe la maggior parte dell’impegno quotidiano, almeno un altro. Qui, nel settore musicale, la crisi si sente amplificata. Mentre le major monopolizzano il mercato, decidendo chi e come deve avere l’attenzione del pubblico nazionale ed estero, i musicisti autonomi arrancano tra la pirateria informatica, la difficoltà nel riuscire a realizzare live-show e un apparato rappresentativo di categoria che fatica a far sentire la propria voce. Tra gli enti che si impegnano a preservare i diritti dei musicisti c’è il Sindacato Italiano Artisti della Musica che tiene viva la richiesta alle istituzioni di un’adeguata regolamentazione per tutti i lavoratori dello spettacolo. Abbiamo avuto il piacere di parlare con Indiana Raffaelli, sindacalista SIAM, per approfondire alcune problematiche del settore musicale.

A fronte della situazione attuale, quali sono nello specifico le richieste del sindacato alle istituzioni?

A sinistra, Indiana Raffaelli
Il SIAM nasce con l’obbiettivo di costruire un sistema welfare, attualmente inesistente nel nostro Paese, che garantisca un’adeguata tutela per i musicisti freelance. Per questo chiediamo un adeguamento dell’attuale legislazione alla realtà delle professioni sceniche e quindi il riconoscimento dei musicisti come lavoratori, pur nella ambiguità esistente fra autonomi e dipendenti. Invece, dopo che si è molto parlato della necessità di  estendere il diritto ad usufruire di ammortizzatori sociali anche per le categorie meno considerate, è giunta una sentenza della Cassazione che esclude tutti gli artisti dalla possibilità di godere dell’indennità di disoccupazione, sulla base di un regio decreto del 1935. E’ evidente che una regola scritta in un contesto sociale totalmente differente, che forse all’epoca avrebbe potuto trovare una sua ragion d’essere, oggi è totalmente inadeguata e discriminatoria, escludendo dall’indennità di disoccupazione con requisiti ridotti anche quei pochi artisti che fino ad oggi, lavorando con contratti subordinati e versando gli specifici contributi, potevano richiederla. Ci uniamo insieme a molti altri enti ed artisti nel richiedere con forza l’abrogazione di questa norma.

Rispetto all’estero, quali sono gli svantaggi di essere un musicista in Italia, oltre il fatto di essere quasi sempre visti come “persone che nel perseguire la loro passione, vogliono ricavarci pure profitto”?

In primo luogo la mancanza del rispetto dovuto al musicista in quanto lavoratore. Qui, come ha giustamente detto, chi fa il musicista o viene considerato un dilettante: “Si esibisce facendo quello che gli piace e  vuole pure essere pagato”, oppure viene accomunato alla figura della “star”,  e quindi si pensa che possa godere di guadagni milionari.

Manca poi , come dicevamo, una legislazione adeguata alla  specificità del lavoro artistico, che è un lavoro atipico: i francesi ci hanno  ben definito come “lavoratori intermittenti” ed hanno approntato un efficiente sistema di ammortizzatori sociali che, riconoscendo la necessità dei periodi  trascorsi in studio e di preparazione, permette di svolgere l’attività artistica a tempo pieno. Molti altri paesi hanno approntato misure che favoriscono il lavoro artistico, con sgravi fiscali per i lavoratori o gli investitori, con una costante formazione e garantendo supporto all’inserimento nel mondo del lavoro, anche con aiuti economici.

Come l’attuale crisi ha colpito il settore musicale?

Occorre una piccola premessa. Per quanto riguarda alcuni fenomeni ad oggi evidenti in tutti i settori produttivi, noi siamo stati un terreno di sperimentazione. Ad esempio, siamo stati fra i primi a cui è stato chiesto di aprire Partita Iva benché percepissimo introiti miserrimi e nonostante si svolga un’attività che presenta tutte le caratteristiche del lavoro dipendente. La delocalizzazione ha portato all’estero una grandissima parte del lavoro di registrazione di colonne sonore e l’uso di appalti esterni per le trasmissioni televisive non ha abbassato i costi, ma ha ridotto i diritti ed i compensi dei musicisti.
Oggi la crisi ci colpisce in vari modi. Le amministrazioni locali tirano avanti con budget quasi inesistenti e quindi hanno drasticamente ridotto la loro funzione di promotori culturali, tagliando risorse ai festival e a tutte le attività delle piccole associazioni, importantissime per una diffusione capillare della cultura musicale sul territorio nazionale. I tagli al Fondo Unico per lo Spettacolo hanno ridotto l’impiego di lavoratori aggiunti nelle compagini orchestrali stabili, gli sponsor privati sono più cauti nel finanziare attività musicali e quando lo fanno, preferiscono puntare sui grandi nomi, che assicurano un ritorno pubblicitario sicuro. Restano quindi escluse la maggior parte delle realtà medio-piccole, senza le quali si va sempre più verso una cultura fatta di cattedrali nel deserto e di sporadici eventi.

Come può un musicista emergente tutelarsi da solo di fronte circostanze lavorative inadeguate?

La solitudine crea debolezza e forse una delle principali cause dell’attuale mancanza di tutele per i musicisti sta proprio nella tendenza di chi fa musica ad isolarsi, a coltivare l’illusione di una specie di “meritocrazia” che dovrebbe far sfondare i più bravi, a considerare se stessi più “artisti” che lavoratori. Un musicista difficilmente ha approfondite conoscenze giuridiche, e quindi la autotutela individuale è abbastanza difficile, anche perché il mercato attuale del lavoro musicale è profondamente deregolamentato e privo di controlli, così i giovani sono facile preda di pseudoimpresari e talent-scout senza scrupoli. Il consiglio che posso dare, è quello di aprire bene gli occhi, non farsi lusingare da promesse fumose, non lavorare gratis nella speranza di ottenere in  futuro chissà cosa, e cercare di sviluppare una coscienza collettiva.

So che è una brava musicista, che messaggio vuole lasciare ai giovani  e meno giovani che quotidianamente fanno i conti con la giungla del mercato  musicale?

Diamoci da fare tutti insieme per cambiare il nostro settore: dove ci sono più tutele e maggior rispetto tutti lavorano, creano in libertà e vivono meglio. La  deregolamentazione aiuta soltanto i più potenti.

Eleonora Pochi
Fonte: Fuori le Mura

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