01/08/11

Nasce il Sud Sudan tra armi, petrolio e coloni stranieri

Per il popolo del Sudan meridionale è una vittoria, una conquista d'indipendenza che segnerà la sorte dell'intero Paese. Sarà davvero l'inizio di una nuova era oppure la scissione rappresenterà l'aggravarsi di marcate ostilità?

Al “risiko africano” è stato aggiunto il 54° Stato. Il Sud Sudan è ufficialmente nato lo scorso 9 luglio, in seguito al referendum popolare per il quale il 99% dei votanti hanno voluto la separazione dal Nord. La sanguinosa lotta di secessione è durata 50 anni, alimentata non solo da ragioni economico-territoriali, ma anche da conflitti etnici spiegati dalla presenza nell’ex Sudan di numerose etnie e credo diversi: al settentrione arabi e islamici, al meridione cristiani e animisti. Da queste ragioni scaturì una lunga ed intensa guerra civile, che provocò quasi 5 milioni di vittime, metà delle quali bambini. La più grave crisi umanitaria al mondo, nella regione del Darfur, comportò più di 3 milioni di sfollati. La secessione di Juba da Khartoum è stata interpretata, quindi, da gran parte del popolo sudanese come la soluzione a problemi che la Nazione porta sulle spalle da decenni, mentre il Nord rimane nelle mani del dittatore Omar al Bashir, sul quale pende un mandato di cattura internazionale per crimini di guerra e contro l'umanità commessi appunto durante la crisi del Darfur. Tallone d'Achille tra Juba e Khartoum è la piccola regione di Abey, contesa poiché ricca di petrolio. Lo scorso 21 maggio le truppe di al Bashir hanno invaso la città di Abey, costringendo alla fuga trentamila persone, affinché venissero allontanate le comunità ngok dinka, fedeli al governo neonato. Il dittatore sudanese non cede tuttora con l'occupazione dell'area, cosciente di possedere forze armate più equipaggiate rispetto quelle del Sud appena nato.

Analizzando l'aspetto socio-economico del Paese, ci si accorge che nel Sudan, benché il potenziale agricolo sia elevato, gran parte della popolazione è sotto la soglia della povertà, non c'è un apparato di infrastrutture adeguate e oltre la metà dei bambini non va a scuola, ma il mercato delle armi, uno dei più fiorenti del continente africano, non conosce povertà. Durante la guerra del Darfur, grazie all'importazione di tonnellate di maneggevoli e leggeri Ak47, vennero arruolati oltre 1,5 milioni di bambini come soldati. Chissà chi fece arrivare fiumi di armi nel Paese belligerante.

L'altro lato della medaglia dell'economia sudanese è rappresentato dal petrolio, preziosa risorsa che rappresenta il 98% delle entrate del Sud e il 90% del Nord. In merito, occorre considerare la sagace propensione al profitto dei paesi occidentali, ma non solo. Gli investitori stranieri hanno trattato con Juba ancor prima dell'ufficiale riconoscimento d'indipendenza dal Nord, approfittando della mancanza di istituzioni e di regole per accaparrarsi a basso costo terreni e giacimenti. “Un impresa texana avrebbe acquistato 600 mila ettari sud sudanesi – riporta l'agenzia stampa umanitaria dell'Onu -, per la modica somma di 25 mila dollari. Il prezzo all'ettaro assomma, quindi, a tre centesimi di euro”. Secondo fonti statunitensi, inoltre, la società Nile Trading and Development Inc avrebbe ottenuto così il diritto ad usufruire per circa cinquanta anni di qualsiasi risorsa naturale presente nell'area e starebbe trattando per l'appropriazione di altri 400 mila ettari. L'obiettivo di acquisti di così ampia portata è chiaramente mosso dal profitto speculativo generato dalla rivendita frazionata.
Per quanto riguarda il petrolio la Cina la fa da padrona, fornendo ad entrambi i Paesi sudanesi le attrezzature necessarie per l'estrazione e la raffinazione dell'oro nero ed acquistandone i due terzi prodotti. Non sorprende scoprire che, nonostante il risaputo appoggio cinese alla linea dittatoriale di al Bashir, Pechino ha già nominato un console cinese per il commercio con il Sud Sudan ed il 9 luglio, giorno della proclamazione dell'indipendenza dal Nord, ha inaugurato la sua ambasciata a Juba. Un'esempio calzante di quella che viene definita 'colonizzazione moderna'.

Eleonora Pochi

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