Un rapido rinvio al 22 settembre è il responso della prima udienza del processo per l'assassinio di Vittorio Arrigoni, attivista e giornalista italiano ucciso lo scorso 14 aprile nella Striscia. La Corte militare di Gaza city, istituzione incaricata di curare il caso, non ha ammesso l'avvocato Eyal al-Alami, incaricato poco prima dell'otto settembre dalla famiglia di Vittorio, dopo che il loro legale italiano, Gilberto Pagani, non è riuscito a raggiungere la Striscia a causa di problemi sorti al valico egiziano.
Ancora bisogna attendere, quindi, per sapere la reale motivazione che ha portato all'uccisione del cooperante, rapito e strangolato da un presunto gruppo salafita composto da sei elementi. A tre giorni dall'assassinio due dei rapitori, il giordano Breizat e il palestinese al Omari che sembrerebbe fossero i capi della cellula, vengono uccisi dalle forze speciali di Hamas. Ora, a rispondere dinanzi alla legge dell'assassinio rimangono Mohammed Salfiti, 23 anni; Tarek Hasasnah, 25 anni; Amer Abu Ghoula, 25 anni e Khader Jram. Dal fascicolo delle indagini, reso noto con scandaloso ritardo e solo in parte dalla procura militare di Hamas, risulterebbe che “l'intento del gruppo, informale non una vera e propria organizzazione, era quello di sequestrare un occidentale per ottenere la liberazione dello sceicco Abdel-Walid al-Maqdisi, arrestato da Hamas per attività sovversive”.
Alla domanda: “Perchè proprio Arrigoni?”, così il legale degli imputati al Manifesto: “Il mio assistito (Jram), che lavorava nella stazione dei vigili del fuoco davanti ad un edificio frequentato da Vittorio, mi ha detto di aver insistito molto su quel nome perché era conosciuto a Gaza e perché, secondo lui, l'italiano conduceva una vita poco conforme ai costumi locali, troppo da occidentale”. Attendiamo il 22 settembre sperando che si faccia luce sulla verità.
Alla domanda: “Perchè proprio Arrigoni?”, così il legale degli imputati al Manifesto: “Il mio assistito (Jram), che lavorava nella stazione dei vigili del fuoco davanti ad un edificio frequentato da Vittorio, mi ha detto di aver insistito molto su quel nome perché era conosciuto a Gaza e perché, secondo lui, l'italiano conduceva una vita poco conforme ai costumi locali, troppo da occidentale”. Attendiamo il 22 settembre sperando che si faccia luce sulla verità.
Eleonora Pochi
Fonte: Parolibero
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