‘I diritti alzano la voce’ è una campagna nata nel 2009 con l’obiettivo di fare luce sul progressivo smembramento del welfare attraverso iniziative di sensibilizzazione, mobilitazioni, proteste e proposte. Un’iniziativa che coinvolge gran parte degli esponenti del terzo settore, che hanno elaborato il manifesto “Il benessere è un diritto, la disuguaglianza un’ingiustizia” , dal quale si evince il significato della campagna. Tra i principi guida “la riaffermazione del valore della Costituzione e dei diritti di cittadinanza; la denuncia rispetto alla crescita della povertà, delle disuguaglianze, all’uso del diritto penale e del carcere come risposta ai problemi sociali – s’apprende dal testo -; la richiesta di una nuova politica, capace di farsi carico,prioritariamente, del bene comune; il valore del lavoro, dell’istruzione, della salute, della casa, di politiche fiscali progressive, di politiche sociali ancorate a diritti universali ed esigibili”.
Lo scorso giovedì 23 giugno, i sostenitori della campagna e i membri del Forum del Terzo settore, parte sociale riconosciuta e costituita nel 1997, hanno organizzato una grande giornata di mobilitazione in difesa dei diritti sociali e contro i pesanti tagli ai fondi per le politiche sociali. Gli specialisti del settore denunciano attraverso un’appello, che “i diritti fondamentali non sono più garantiti in molte parti del paese, servizi rilevanti vengono tagliati a causa delle sofferenze di bilancio subite da Regioni ed Enti locali. Il dibattito pubblico, la politica e i media non sembrano avvertire con la necessaria urgenza e forza una questione che riguarda la vita di buona parte degli italiani”.
Il malcontento verso la mancanza di sostegno statale è legittimato dai numeri, che parlano molto chiaro: nel 2008 i fondi nazionali destinati alle politiche sociali erano di oltre 2,5 miliardi, ad oggi ammontano a 538 milioni di euro. Un taglio dell’80% che sta portando alla sciagura una società già colpita massicciamente dalla crisi economica.
Il malcontento verso la mancanza di sostegno statale è legittimato dai numeri, che parlano molto chiaro: nel 2008 i fondi nazionali destinati alle politiche sociali erano di oltre 2,5 miliardi, ad oggi ammontano a 538 milioni di euro. Un taglio dell’80% che sta portando alla sciagura una società già colpita massicciamente dalla crisi economica.
La situazione della cooperazione italiana, è anch’essa pessima, anzi peggiore. La vergognosa assenza di risorse fa di un settore che dovrebbe essere un vanto del Paese, il fanalino di coda nelle classifiche internazionali dei donatori. La paralisi della Direzione Generale della Cooperazione allo Sviluppo (DGCS) del Ministero Affari Esteri ed il mancato rispetto degli impegni internazionali rendono la vita di Ong e Onlus sempre più impossibile. Molte di queste organizzazioni, nonostante non abbiano neanche più risorse per coprire costi primari, come quelli del personale, continuano a lavorare al fine di mantenere la coesione sociale, evitando forti lacerazioni nel tessuto sociale. Cio’ malgrado, si sente troppo poco parlare di loro, del lodevole lavoro che svolgono con passione e dedizione. C’è addirittura chi pensa che lavorare per il terzo settore sia questione di ‘semplice’ volontariato.
“Tutti siamo consapevoli delle difficoltà economiche e della crisi che stiamo vivendo anche a livello europeo – spiega Guido Barbera, presidente di Solidarietà e Cooperazione Cipsi, coordinamento di 45 associazioni di solidarietà e cooperazione internazionale, membro della campagna ‘I diritti alzano la voce’ – ma la situazione italiana di riduzione progressiva degli aiuti e di tagli indiscriminati alle risorse per la cooperazione, è frutto di una specifica politica che ha dimenticato di dover essere al servizio di tutti i cittadini e della vita”.
Barbera, una delle personalità più significative della cooperazione italiana, precisa l’importanza dell’aiuto internazionale ed il prezioso ruolo in esso racchiuso: “Si continua a perdere di vista il fatto che la cooperazione internazionale è e resta la politica più economica e più efficace per costruire la sicurezza, una politica fatta di ponti e non di muri, di rispetto e non di rigetto – precisa l’esperto -. La cooperazione italiana non può continuare a rimanere indietro. Di fronte ai profondi mutamenti sociali che stanno avvenendo in questo periodo nel nostro paese. Di fronte ad un risveglio della società civile che ha risposto positivamente alla sfida dei referendum, riconoscendo la centralità dei beni comuni e della protezione dell’ambiente. Di fronte ai difficili scenari che vengono da molti paesi del Mediterraneo e che ci impongono di pensare a politiche di integrazione e accoglienza rispetto ai flussi migratori”.
Rivolgendo un ampio sguardo alla strada percorsa nei decenni dalla Cooperazione allo sviluppo, ci si accorge che c’è ancora molto da fare: “Non esisterà più la cooperazione internazionale così come l’abbiamo conosciuta e vissuta fino ad oggi. La cooperazione era nata per ridurre le diseguaglianze. Oggi dobbiamo prendere atto del suo fallimento e saper cogliere le nuove sfide, rispondendo con scelte coraggiose, di alto livello e prospettiva. È fondamentale lavorare insieme sui beni comuni, ognuno a partire dal proprio territorio, dalle sue realtà, da casa sua” Ci si auspica che le parole di Guido Barbera, l’azione della Campgna ‘I diritti alzano la voce’ e lo splendido lavoro del Forum del terzo settore inducano ad una seria riflessione, al cambiamento, al cambio di rotta.
Eleonora Pochi
Fonte: Fuori le Mura
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