Dal 2006 ad oggi, secondo dati Anmil, sono oltre cinque milioni gli infortuni sul posto di lavoro e di essi oltre 200.000 hanno arrecato un’invalidità permanente. Sempre negli ultimi cinque anni, oltre 7.000 morti bianche testimoniano un latente stillicidio, di cui sembrano accorgersene solo le famiglie delle vittime, che, nella maggioranza dei casi, hanno perso un loro caro a causa dell’inadempienza dei datori di lavoro o della scarsa tutela alla sicurezza di lavoratori autonomi e informali. Sembra dunque fuori luogo, o meglio fuorviante, definirle “morti bianche”, dove bianco allude all’assenza di un diretto responsabile dell’incidente. La disattenzione verso un fenomeno cosi’ grave, ha portato alla nascita dell’Osservatorio Indipendente di Bologna, organizzazione che monitora costantemente la situazione reale dei caduti sul lavoro, analizzando il fenomeno ed includendone tutte le componenti, a differenza dell’Inail che omette dai calcoli le morti dei lavoratori in itinere, in nero ed informali. Carlo Soricelli, fondatore dell’Osservatorio di Bologna, ci ha aiutato a circoscrivere cause e conseguenze del fenomeno.
Come e perché nasce l’Osservatorio Indipendente di Bologna?
Dopo la morte dei sette operai alla Thyssenkrupp di Torino, cercavo notizie aggiornate in rete sull’ampiezza del fenomeno “morti sul lavoro” e mi accorsi che i dati riportati riguardavano periodi di tempo conclusi da mesi oppure si basavano sull’anno precedente. Decisi così di creare un Osservatorio, nato nel gennaio del 2008, per monitorare le morti sul lavoro nel nostro Paese. Attraverso un blog si informano costantemente i cittadini sulla reale situazione delle morti bianche, dietro le quali ci sono tantissimi interessi economici, politici e d’immagine. L’Osservatorio di Bologna, a differenza di altre fonti, ha la massima libertà ed indipendenza.
A differenza dei dati diffusi dall’Inail, l’Osservatorio ha recentemente sottolineato come il 2011 sia un anno all’insegna del peggioramento, in riguardo alle morti bianche. Come mai questa discrepanza nelle analisi?
Già dallo scorso anno avevamo registrato un peggioramento rispetto al 2009, pari ad un aumento delle morti bianche nel 2010 del 5,1%. Quest’anno sta andando ancora peggio, visto che siamo già allo stesso numero di morti sul lavoro del 2009(554 contro 555) ed al 27 ottobre si registrano 12 morti in più rispetto lo stesso giorno del 2010. Occorre precisare che nel presente calcolo non sono inclusi i lavoratori in itinere morti sulle strade, che farebbero raddoppiare il numero delle vittime.
L’Inail inserisce tra le vittime solo i suoi assicurati, che rappresentano una parte delle morti bianche, escludendo militari, lavoratori in nero, gli agricoltori “informali” che muoiono in tarda età schiacciati dai loro trattori, i lavoratori in itinere e potrei continuare ancora… Dalle statistiche ufficiali sfuggono almeno il 20-25% delle morti bianche. L’Osservatorio non fa questo genere di distinzioni nell’elaborazione dei dati: se una persona muore lavorando, per noi è un morto sul lavoro.
A differenza di quanto si crede, l’industria non è il primo settore nella lista nera delle morti sul posto di lavoro, bensì è l’Agricoltura. Soprattutto la cosiddetta ‘agricoltura informale’ miete il maggior numero di vittime. Può spiegarci questo fenomeno?
Sono categorie emarginate e poco sindacalizzate. La maggioranza delle morti in Agricoltura sono causate da trattori “killer”, che uccidono centinaia di coltivatori . Non è un fenomeno circoscritto ma riscontrabile in tutto il Paese, sono morti che hanno poca risonanza mediatica. Ad oggi, considerando solo il 2011, sono già 105 gli agricoltori morti perché schiacciati dal trattore. Basterebbero pochi interventi mirati per salvare tantissime vittime.
Quali misure dovrebbero essere adottate dalle istituzioni per contrastare questo fenomeno?
I vecchi trattori dovrebbero essere rottamati per permettere ai coltivatori di acquistarne altri con cabine protette. Andrebbero poi introdotti incentivi: gli anziani agricoltori, tra l’altro, dovrebbero essere sottoposti obbligatoriamente a visite mediche che attestino l’idoneità alla guida, considerando anche che il territorio italiano è in pendenza e i riflessi poco pronti non lasciano scampo in caso di manovra errata. Il 60% delle morti bianche appartiene ai settori dell’Edilizia e dell’Agricoltura. Sono lavoratori per lo più meridionali e stranieri ed anche nei cantieri del Nord, gestiti talvolta da piccole aziende, è registrato un livello di sicurezza inesistente.
Sarebbe giusto, secondo lei, celebrare funerali di Stato per i lavoratori morti sul posto di lavoro?
Certo. Sono martiri del lavoro, solo così si capirebbe cosa c’è veramente dietro ad ogni ‘morte bianca’.
Perché interessa più un delitto passionale piuttosto che un lavoratore morto mentre esercitava il suo mestiere?
Le persone che non vivono da vicino queste tragedie, percepiscono come “normale” il fatto che nel Paese ci siano morti sul posto di lavoro, ma madri, padri e fratelli delle vittime, sono costretti a vivere una tremenda disgrazia, portando dentro loro un’eterna disperazione: sanno che non è stata la fatalità a causare la morte di un loro familiare, bensì leggerezza verso l’incolumità dei lavoratori e lo sfruttamento al quale sono costretti.
Perché le istituzioni (e i media) tendono a sminuire un simile fenomeno?
Anche loro percepiscono la questione come “normalità”, tranne casi come quello della Thyssen e di Barletta che meritano le prime pagine in quanto notizioni, dimenticati il giorno dopo. Continua silenziosamente l’incessabile stillicidio che provoca oltre mille morti all’anno.
Fonte: Osservatorio Indipendente di Bologna |
Eleonora Pochi
Fonte: Fuori le Mura
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