"Hip hop smash the wall” è un progetto portato avanti da Assopace Palestina.
Un’iniziativa che attraverso l’hip hop mira a favorire l’empowerment dei giovani e che rappresenta una delle molte strategie attraverso cui l’Associazione si impegna per il superamento di ogni forma di esclusione sociale e discriminazione. In Palestina l’hip hop riesce ad abbattere molti più muri di quanto si pensi, permettendo ai ragazzi di sviluppare un particolare senso critico della realtà che li circonda.
“Hip hop smash the wall” vuole supportare anche l’aggregazione dei giovani palestinesi, divisi da checkpoint, dal muro di separazione, dai regolamenti militari e da decine di prassi discriminatorie. Una delle ultime è la misura decisa dal ministro della Difesa israeliano, Moshe Ya’alon, in base alla quale gli operai palestinesi dei Territori Occupati non potranno viaggiare sugli stessi autobus dei coloni israeliani.
L’hip hop inteso come movimento culturale ha contribuito a sviluppare, dapprima in America e poi in giro per il mondo, una coscienza collettiva, un rifiuto consapevole delle discriminazioni razziali, di classe sociale e di sesso che fa perno sul riscatto personale e sociale delle fasce deboli, o meglio indebolite, della popolazione. Per questo quando ci si trova in condizioni di disagio l’hip hop fiorisce nella sua massima essenza.
Oltre a rappresentare un filone di pensiero, l’hip hop rappresenta un potente strumento per esprimere sé stessi attraverso le quattro discipline che lo compongono (Mcing, Djing, Bboying, Writing).
Ahmad, un giovane proveniente da Askar Camp, un campo profughi vicino Nablus, ha raccontato:
“Quando faccio graffiti sento come se potessi parlare con il muro e trasmettere un messaggio alla gente, attraverso il writing sento di poter esprimere davvero e fino in fondo me stesso”.
Ma “Hip hop smash the wall” in realtà racchiude molti muri da sfondare. Come quello degli stereotipi che aleggiano sul popolo palestinese. Terrorista o vittima. Prima di tutto esseri umani. E questo è un imperativo non solo per questo progetto, ma per tutto il lavoro di Assopace Palestina, che da spazio ad una visione diversa dei palestinesi. Basti pensare al supporto fornito al Freedom Theatre di Jenin, una splendida forma di resistenza senz’armi. In accordo con i fondatori del teatro di Jenin, anche noi “crediamo che le arti abbiano un ruolo cruciale per la creazione di una società libera e sana”.
Il fulcro di “Hip Hop smash the wall” sono le relazioni umane, fondate sui presupposti dell’empatia e la voglia di cambiamento. Dopo la prima fase del progetto, che ha visto una delegazione di artisti hip hop volare a Ramallah, si è formata per spontanea volontà dei partecipanti una grande crew, una famiglia italo-palestinese.
“Sono passati due mesi da quando abbiamo realizzato le attività insieme ai ragazzi italiani – racconta Ameer, un Bboy, ossia un ballerino hip hop, di Nablus – eppure stiamo sempre a pensarci. Nonostante l’Italia e la Palestina abbiano ovviamente culture diverse, ci sentivamo appartenere ad una famiglia unita e compatta. Questo è l’hip hop. Abbiamo realizzato un liveshow a distanza con Gaza e ho avuto l’opportunità di ballare nello stesso istante e sulle stesse note dei Bboys di Gaza, che a causa delle restrizioni non ho avuto modo di incontrare. Eravamo su quel palco, palestinesi ed italiani ed abbiamo sfondato tutti i muri. E non è finita qui, ci incontreremo di nuovo”.
Ameer e gli altri Bboys hanno realizzato questa videoclip qualche settimana dopo la fine della prima sessione di attività.Ospitiamo oggi un articolo di Eleonora Pochi su “Hip hop smash the wall”, un progetto di Assopace Palestina.
“Hip hop smash the wall” è un progetto portato avanti da Assopace Palestina.
Un’iniziativa che attraverso l’hip hop mira a favorire l’empowerment dei giovani e che rappresenta una delle molte strategie attraverso cui l’Associazione si impegna per il superamento di ogni forma di esclusione sociale e discriminazione. In Palestina l’hip hop riesce ad abbattere molti più muri di quanto si pensi, permettendo ai ragazzi di sviluppare un particolare senso critico della realtà che li circonda.
“Hip hop smash the wall” vuole supportare anche l’aggregazione dei giovani palestinesi, divisi da checkpoint, dal muro di separazione, dai regolamenti militari e da decine di prassi discriminatorie. Una delle ultime è la misura decisa dal ministro della Difesa israeliano, Moshe Ya’alon, in base alla quale gli operai palestinesi dei Territori Occupati non potranno viaggiare sugli stessi autobus dei coloni israeliani.
L’hip hop inteso come movimento culturale ha contribuito a sviluppare, dapprima in America e poi in giro per il mondo, una coscienza collettiva, un rifiuto consapevole delle discriminazioni razziali, di classe sociale e di sesso che fa perno sul riscatto personale e sociale delle fasce deboli, o meglio indebolite, della popolazione. Per questo quando ci si trova in condizioni di disagio l’hip hop fiorisce nella sua massima essenza.
Oltre a rappresentare un filone di pensiero, l’hip hop rappresenta un potente strumento per esprimere sé stessi attraverso le quattro discipline che lo compongono (Mcing, Djing, Bboying, Writing).
Ahmad, un giovane proveniente da Askar Camp, un campo profughi vicino Nablus, ha raccontato:
“Quando faccio graffiti sento come se potessi parlare con il muro e trasmettere un messaggio alla gente, attraverso il writing sento di poter esprimere davvero e fino in fondo me stesso”.
Ma “Hip hop smash the wall” in realtà racchiude molti muri da sfondare. Come quello degli stereotipi che aleggiano sul popolo palestinese. Terrorista o vittima. Prima di tutto esseri umani. E questo è un imperativo non solo per questo progetto, ma per tutto il lavoro di Assopace Palestina, che da spazio ad una visione diversa dei palestinesi. Basti pensare al supporto fornito al Freedom Theatre di Jenin, una splendida forma di resistenza senz’armi. In accordo con i fondatori del teatro di Jenin, anche noi “crediamo che le arti abbiano un ruolo cruciale per la creazione di una società libera e sana”.
Il fulcro di “Hip Hop smash the wall” sono le relazioni umane, fondate sui presupposti dell’empatia e la voglia di cambiamento. Dopo la prima fase del progetto, che ha visto una delegazione di artisti hip hop volare a Ramallah, si è formata per spontanea volontà dei partecipanti una grande crew, una famiglia italo-palestinese.
“Sono passati due mesi da quando abbiamo realizzato le attività insieme ai ragazzi italiani – racconta Ameer, un Bboy, ossia un ballerino hip hop, di Nablus – eppure stiamo sempre a pensarci. Nonostante l’Italia e la Palestina abbiano ovviamente culture diverse, ci sentivamo appartenere ad una famiglia unita e compatta. Questo è l’hip hop. Abbiamo realizzato un liveshow a distanza con Gaza e ho avuto l’opportunità di ballare nello stesso istante e sulle stesse note dei Bboys di Gaza, che a causa delle restrizioni non ho avuto modo di incontrare. Eravamo su quel palco, palestinesi ed italiani ed abbiamo sfondato tutti i muri. E non è finita qui, ci incontreremo di nuovo”.
Ameer e gli altri Bboys hanno realizzato questo videoclip qualche settimana dopo la fine della prima sessione di attività.
Eleonora Pochi